Mitologia e spiritualità

di Marco Felicioni

Il fascino e l’importanza del flauto sono ben conosciuti e apprezzati in molte culture. È risaputo che questo strumento è associato ad alcune delle più importanti divinità e non sarebbe divenuto e nominato “flauto magico” senza la lunga storia di credenze e leggende. Proprio in Europa, uno dei flauti più rappresentativi prende il nome dal dio greco Pan: il flauto di Pan, appunto. È comunque sorprendente notare come varie culture e religioni includano il flauto nel loro mondo e nella pratica religiosa, come per Krishna e l’Induismo. Krishna ha un flauto chiamato Bansuri, che è una sorta di tubo magico, con cui incanta gli animali e gli esseri umani. Egli è noto come il pastore con il flauto che bacia la sua bocca rosea . In un altro continente incontriamo Kokopelli, divinità americana; egli, secondo le credenze, influenza la sessualità umana e la riproduzione degli animali. Prime tracce del suo caratteristico profilo appaiono nella parte sud-occidentale del Nord America più di 1000 anni fa. Molte leggende sono associate a divinità o esprimono la magia del flauto in vari modi; leggende molto diverse tra loro in diverse parti del mondo, come ad esempio la tragica storia d’amore che racconta la nascita della Quena, il più caratteristico flauto del Sud America. Nell’estremo oriente si concentra maggiormente la presenza del valore spirituale ed evocativo della musica e del flauto; ad esempio, la considerazione delle qualità speciali dei suoni per l’antico popolo cinese era talmente alta che si attribuiva alla musica la capacità di contribuire a mantenere tutti gli esseri in perfetto accordo con l’armonia cosmica. Così il sovrano dell’antica Cina, capo del sistema modellato secondo l’ordine del cosmo, faceva ascoltare un determinato tipo di musica ai suoi sudditi, per infondere in loro armonia e virtù. Il famoso filosofo cinese Confucio affermava infatti: siamo destati dai canti, temprati dal rituale e perfezionati dalla musica , nel voler sottolineare il ruolo della musica, quale strumento a disposizione del sovrano per poter perfezionare e trasformare il proprio popolo. L’accordatura degli strumenti risultava di enorme importanza ed era effettuata in maniera davvero particolare; secondo la tradizione, il suono di riferimento corrispondeva al tono del famoso uccello mitologico, la fenice (conosciuto oltre che in Cina, anche in Grecia, Egitto e Medio Oriente). Tale suono, riprodotto da un flauto di bambù, trasmise a questo strumento la simbologia di rinascita spirituale ed interiore, tipica della fenice che, come noto, rinasce dalle proprie ceneri. Il flauto si identificò quindi in un autentico strumento che porta al perfetto accordo con l’armonia cosmica. Le manifestazioni dell’unità spaziale ad esso correlate furono: la montagna, quale luogo sacro e simbolo di elevazione; la primavera, stagione nella quale si assiste alla rinascita della natura con le straordinarie trasformazioni; l’est, punto cardinale e simbolo di rinascita giornaliera (con l’inesauribile potenza e ricchezza del sole).

La fenice


È interessante segnalare che in Cina la controparte femminile del drago è la cosiddetta fenghuang, ossia la fenice (sempre riferita al mito cinese). Inoltre, figure serpentiformi di vario genere ricorrono anche nella mitologia germanica, dove il drago appare come custode di tesori o mostro che infesta i territori.
Anche in Giappone compare, oltre al mito della fenice, quello celebre del drago, detto anche dragone. La caratteristica principale di questo mostro marino o rettile è quella di rincorrere una perla di fuoco nel tentativo di ingoiarla; nel momento in cui riesce a farlo il drago vive una sorta di rinascita che lo rigenera completamente. Questo simboleggia anche l’essere umano alla ricerca del proprio sé latente, ovvero nel recupero della presenza divina interiormente celata. Il cosiddetto riu-teki, “flauto dragone” o “flauto del drago”, ne è la lampante testimonianza flautistica e musicale. Così, anche il flauto dragone incarna il significato di rinascita e rinnovamento, oltre che di riavvicinamento al divino.

Il dragone

Esemplare di Ryuteki (flauto dragone)


Nella mitologia greca, Pan è il dio agreste e pastorale, della caccia e della musica, che vaga per le colline e le montagne di Arcadia suonando il suo flauto e inseguendo le ninfe, suscitando spavento intorno a lui per il suo aspetto (da qui l’origine della parola panico). Infatti, Pan è raffigurato come un piccolo uomo con le corna, le zampe e la coda di capra, la barba folta e le orecchie appuntite.

Pan e Dafni – II secolo d.C. – Museo archeologico di Napoli
Due tipi di flauto di Pan – (in alto) Zampoña, (in basso) Siku peruviano

La Siringa, o flauto di Pan, è uno strumento costituito da canne di bambù, tagliate secondo differenti lunghezze e disposte una accanto all’altra in ordine crescente, dando vita ad una scala musicale (un tempo di tipo modale ed oggi quasi esclusivamente maggiore). L’antico mito greco della ninfa Siringa (Syrinx) e del dio Pan narra di come ha avuto origine questo strumento. Il dio Pan nacque dal dio Ermes e dalla ninfa Penelope, ed aveva sembianze per metà umane e per metà animalesche; il corpo era coperto di ruvido pelo, aveva delle zanne ingiallite, il mento terminava con un’irsuta barba, dalla fronte si dipartivano due corna ed al posto dei piedi aveva due zoccoli caprini. Pan si innamorò della Ninfa Siringa, la quale, appena lo vide, scappò terrorizzata a causa del suo aspetto. Per non farsi scoprire da Pan, chiese a suo padre Ladone (il dio del fiume) di mutarle la fisionomia. Ladone decise di trasformarla in tante canne e Pan si mise a cercarla fra i diversi canneti; poi recise una canna, la tagliò in vari pezzi con lunghezze diverse legandoli insieme e così creò la siringa.


Ecco come viene descritto Pan nel IX inno omerico: E là, benché dio, pasceva le greggi lanute presso un mortale: perché desiderio fioriva languido in lui di giacere in amore con Driope, fanciulla dai riccioli belli. E si strinse con lei nella gioia d’amore. Ed ella poi generò nelle stanze un figliuolo a Ermes diletto, un prodigio a vedersi, col piede di capra, bicorne, strepente, e dolce ridente: fuggì la nutrice il fanciullo lasciando atterrita alla vista di quel volto selvaggio e barbuto. Ma subito Ermes lo prese in sue braccia benevolo: godeva nell’animo il dio. E avvolto il fanciullo con pelle villosa di lepre montana, salì alle sedi dei numi: presso Zeus lo depose e degli altri immortali, e suo figlio mostrò: allegri ne furono i numi tutti, e più d’ogni altro Dioniso amante dell’orgia furente; e Pan lo chiamarono perché il cuore allietava di tutti.

Il flauto di Pan di Pablo Picasso (1923) – Museo Nazionale “Picasso” di Parigi


Krishna è una della divinità più popolari e venerate e, per i devoti dell’Induismo, rappresenta l’aspetto materiale di Dio. Egli pascola le mucche in compagnia di Balarama (suo fratello maggiore) e di altri giovani pastori, facendo vibrare il suo flauto sublime. A quel suono le gopi (gruppo di pastorelle che incarnano la più alta devozione induista), si mettono a discorrere del suo talento di flautista, descrivendo la dolce melodia del suo flauto; la loro devozione in quei momenti è talmente forte da poter impedire loro l’uso della parola. Krishna, nel pensiero devoto, si veste di un abito splendente giallo oro e una collana di fiori al collo vaijayanti (una particolare ghirlanda di fiori); sul capo ha una piuma di pavone e sull’orecchio dei fiori blu, come un danzatore sul palcoscenico.

Krishna e Radha

Bansuri tradizionale in bambù

https://youtu.be/3xEw8IplL1I


Fascinosamente vestito, Krishna lascia scorrere nei buchi del flauto il nettare delle sue labbra. Magnifico suonatore di flauto, Krishna incanta con il suono del suo semplice strumento di bambù le gopi e non solo; le narrazioni delle stesse gopi spiegano che tutti gli esseri che lo ascoltano non possono far altro che esserne attratti. Al suonare sublime del flauto di Krishna e di suo fratello Balarama, tutte le creature rimangono come stordite e s’immobilizzano; gli alberi e le piante si mettono a tremare d’estasi e tutta la natura muta seguendo il volere supremo della divinità. Il X canto tratto dal Srimad Bhagavatam (uno dei testi sacri di tradizione induista) descrive così la figura di Krishna: Al sublime suono del flauto di Krishna anche il fiume Yamuna acquieta lentamente le sue onde rapide e prende a scorrere dolcemente… Ogni cosa si riveste di un aspetto meraviglioso quando Krishna attraversa la foresta di Vrndavana, suonando il flauto e facendo amicizia con tutti gli esseri, mobili ed immobili…. Quando Krishna suona il flauto i pavoni diventano d’un tratto come pazzi, e quando dalla collina Govardhana e dalla vallata tutti gli altri animali, gli alberi e le piante scorgono la danza dei pavoni, rimangono immobili all’eccelso suono, le cui vibrazioni si trasformano in un flusso di nettare ch’essi sono pronti a bere tendendo le orecchie… Persino gli abitanti dei pianeti celesti subiscono l’incantesimo della sublime melodia del flauto suonato da Krishna, poiché il suo suono pervade tutti gli angoli dell’Universo.


Fra le immagini originarie che sono sopravvissute alla storia antica dei nativi d’America appare il suonatore di flauto di legno del sud est. Il suo nome in lingua Hopi, (antico e pacifico popolo nativo), è Kokopelli, che deriva da Koko, cioè legno, e Pilau, cioè la gobba contenente la sacca che porta con sé. Praticamente sconosciuto in Europa, sin dal 1100 circa fino al 1700, Kokopelli è stato inciso o dipinto sulle rupi e sui massi in svariate forme. Appare inoltre sui vasi dei popoli Hohokam e Mimbres ed è popolare nelle cerimonie, danze, canzoni e storie degli indiani Pueblos.

Immagine di Kokopelli
Esemplari di Native american flute

Nelle leggende dei cosiddetti indiani d’America, il suonatore di flauto è il simbolo della felicità, della gioia ed è la figura mitica della fertilità. Secondo alcuni, egli viaggia nomade dal Messico verso nord, fermandosi nei villaggi del Sud Est America, diffondendo musica, felicità e fertilità per le coltivazioni e per le popolazioni. Si riteneva che la magia del suo flauto stimolasse la creatività ed aiutasse a realizzare i propri sogni. La leggenda narra che mentre Kokopelli camminava tra i vari villaggi suonando il suo flauto, il sole scioglieva la neve spuntando nel cielo, l’erba si colorava di un rigoglioso verde, gli uccelli cantavano e tutte le creature viventi si riunivano intorno per sentire le sue musiche e le sue storie. Risulta che questa divinità sia una figura alquanto discussa, per via delle diverse credenze popolari ma è certo che leghi in maniera particolare l’essenza umana con quella divina. Atri nomi per indicare la divinità sono Kokopele, Kokopeltiyo, Kokopilau, Neopkwai’i (nei territori Pueblo) e Ololowishkya (nei territori Zuni).
Per ciò che riguarda della nascita della Quena, si narra che sotto la dominazione Maratec, molti secoli prima della venuta di colui che sarebbe stato considerato il primo imperatore degli Inca, Manco Capac, nacque un appassionato idillio tra una divinità maschile e una ragazza bellissima. Questo amore era ricambiato, in modo semplice e puro, ma un giorno, sfortunatamente, la ragazza fu morsa da un serpente e morì. Il dio che l’amava così tanto, la seppellì su una montagna; con il passare degli anni, dalla terra lavata e scavata dalle lacrime di chi l’amava, apparve una tibia. Il dio ricavò da quest’osso uno strumento praticandovi dei fori; trasformò se stesso in vento e soffiando dentro il flauto, poteva ancora cantare e far rivivere l’amore perduto. La Quena, con il suo particolare suono, esprime al meglio, ancora oggi un sentimento di malinconia.

Esemplare di flauto d’osso (a tacca) riconducibile all’antica quena

La bizzarra leggenda del pifferaio magico viene riportata per la prima volta dalle cronache nel 1384, esattamente un secolo dopo la data presunta del fatti (1284). Secondo il racconto, un misterioso straniero con un mantello variopinto era apparso ad Hameln (in Germania) offrendosi, dietro il pagamento di una ricompensa, di liberare la città dall’invasione di topi e ratti. Lo straniero si mise a suonare il suo piffero e attirò i roditori sino al fiume Weser; riuscì ad ingannarli facendo seguire il suo lungo costume e così li fece affogare tutti. Gli ingrati cittadini si rifiutarono però di pagare la somma pattuita e scacciarono il pifferaio dalla città. Egli ritornò una domenica mattina, mentre gli adulti erano a messa, vestito con uno strano costume da cacciatore giallo e rosso. Questa volta però, furono 130 bambini della città di Hameln a subire il richiamo magico del piffero; i piccoli seguirono lo straniero fuori città e, dopo essere entrati in una caverna, scomparvero misteriosamente per sempre. Gli unici due bambini a salvarsi furono uno zoppo (o cieco, secondo un’altra versione) e l’altro sordomuto. A questa storia sono state date molte interpretazioni ma nessuna definitiva.

Due opere relative alla leggenda de “Il pifferaio magico


Marco Felicioni

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Marco Felicioni (Flauto), concertista e solista, svolge un’intensa attività in Italia e all’estero, esibendosi a fianco di artisti di fama internazionale.
Ricercatore e collezionista di flauti storici ed etnici da trent’anni, è autore di testi storico-didattici e tiene regolarmente corsi di perfezionamento strumentale e di interpretazione musicale.
Vincitore di concorsi nazionali e internazionali, dal 1997 al 2010 è stato Primo Flauto dell’Orchestra del Teatro “Marrucino” di Chieti, Teatro Lirico d’Abruzzo, collaborando con varie orchestre italiane e straniere.
É direttore artistico del “Pescara FLUTE Festival” ed è presidente dell’Associazione Culturale “Il Canto del Vento” di Pescara.
Ha ricevuto premi e riconoscimenti per la trentennale attività concertistica svolta in Italia e all’estero oltre che per la composizione, l’arrangiamento e la direzione di diverse orchestre giovanili.
Ha inciso più di 20 cd in veste di solista, con gruppi cameristici e formazioni orchestrali per Naxos, Velut Luna, Sculture d’Aria, Well Music International, registrando anche per il cinema; ha preso parte a concerti ripresi dalla Rai, RaiSat, Canale 5 ed a eventi trasmessi in mondovisione.