S. Prokofiev, Sonata in Re Magg. op. 94

by Onorio Zaralli

Questa Sonata fu scritta ad Alma Ata durante gli anni dolorosi della Seconda Guerra mondiale. Eseguita per la prima volta nel 1943 dal flautista Charkovsky, “accompagnato” al pianoforte da Sviatoslav Richter, l’Autore ne fece successivamente una versione per violino e pianoforte, in collaborazione con David Oistrakh. Il brano rappresenta ancor oggi un autentico masterpièce del repertorio solistico, per l’indiscusso standard tecnico-strumentale e per l’eccellenza del contenuto musicale.

Come interpretarla?

Occorre, prima di ogni altra cosa, ricordare che siamo di fronte a musica “sovietica”, una musica cioè nata da modelli estetici lontani – tanto per intenderci – da quelli di un Reinecke o di Franck, ma anche di Martin o Jolivet.

Prokofiev è autore di gran calibro, di tutt’altro calibro, distante dagli sfarfallii virtuosi di tanta musica francese così come dalle esagerazioni del tardo-romanticismo; la sua, al contrario, è scrittura sempre molto solida, con accenti forti, a volte provocatori. Una scrittura che, allo stesso tempo, esalta componenti tipiche della tradizione (non solo musicale ma anche letteraria, per esempio) russa prima, sovietica poi. Vediamo allora di esaminarle più da vicino.

La narratività. Pessima parola, lo so. Ma è ciò che esprime l’inizio del primo movimento della nostra Sonata: sulla scrittura morbida e rassicurante del pianoforte, il flauto inizia il suo racconto. Il carattere è sereno, alquanto affabulatorio…

Il gioco. Il secondo periodo presenta l’elemento del gioco, della tenerezza:

L’esplosione fonica. Tipica, ad esempio, anche di Stravinsky, l’esplosione improvvisa di suono innalza verticalmente la temperatura musicale che riesce a placarsi in un diminuendo senza ritenuto.

E questo diminuendo senza ritenuto è il segno della modernità, è il non-romanticismo, la spinta a proiettarsi sempre in avanti.

La cantabilità. Ed eccola, la cantabilità di Prokofiev; un tema dal sapore popolare, molto russo nel ritmo croma puntata-semicroma, non stucchevole né intimo, ma piuttosto sano e – se vogliamo – anche un po’ “rustico”.

L’incisività ritmica. Seconda parte: il flauto “imita” la percussione di un tamburo militare (provate ad ascoltare il finale della quinta sinfonia di Prokofiev!), deve essere freddo, impassibile, con un estremo controllo dell’attacco del suono, della dinamica e della stabilità ritmica.

Il tutto prelude ad uno sviluppo in cui il flauto si slancia in disegni virtuosistici ma mai leziosi o “di grazia”. E’, al contrario, forte, incisivo, virile. Insisto: il virtuosismo di Prokofiev è di tutt’altro spessore e natura rispetto a quello di marca francese. Non dimentichiamolo mai.

La ripresa ripropone elementi già considerati per arrivare alle ultime battute che stilizzano il tema iniziale trasponendolo, acutissimo e pp, al limite della terza ottava.

Ecco gli ingredienti dello Scherzo: incisività (più che leggerezza), stabilità ritmica, estrema precisione tecnica. Direi, anzi, che in esso Prokofiev esalti proprio la meccanicità intesa come “movimenti sincronizzati”.

All’esaltazione della velocità si affianca, nella parte centrale del movimento, un episodio cantabile.

E qui vorrei rilevare – per dovere di analisi – un errore esecutivo purtroppo molto frequente: Prokofiev scrive “poco più mosso” ma, nella realtà, si finisce con l’eseguirlo “molto più lento”… Ma perché non si seguono le indicazioni di Prokofiev? “Poco più mosso”. Provate ad osservare: se eseguita correttamente, al tempo richiesto dall’Autore, la melodia prende la stessa velocità di quella “Nelle steppe dell’Asia centrale” di Borodin, è intrisa di spirito russo, popolare, risulta viva, autentica, convincente. Non solo: nelle otto misure che precedono la ripresa, il pianoforte verrà quasi costretto a rallentare per poter tornare al tempo primo (e dunque non ad accelerare!) e questo da una forza incredibile a tutto il movimento. Un consiglio da amico: non seguite i preti, imparate a leggere da voi stessi le Scritture…

Il terzo movimento è anch’esso molto narrativo, col suoi tipico inizio in levare. E la narrazione si trasforma presto in canone, poi in una scrittura del flauto legatissima: controlliamo i picchi sonori, attenti a non sforare dinamicamente con la nota più acuta delle terzine. Il colore è lunare, fresco, contemplativo più che espressivo, a volte disincantato. La musica, sempre raffinatissima e mai, ma proprio mai, volgare.

Il quarto movimento è un Allegro con brio, è vero, ma un Allego con brio pieno di energia, di spinta. Il flauto spazia agilmente nei tre registri, instancabile, senza posa: nel tema in prima ottava

occorre pensare di suonare tutto in quarta corda: suono potente, pieno, con l’arco al tallone. Interviene un po’ di “nostàlghia” (altro elemento russo) al n. 37, quando la melodia “cade” ripetutamente nei movimenti “pari” della battuta:

Per il resto, brio ed esaltazione, potenza e forza ritmica. Questo è Prokofiev, il sovietico, l’anti-romantico, ma anche il sensibile e il raffinato.


O.Zaralli

www.onoriozaralli.it  | Italian Flute School  | Youtube

Onorio Zaralli si diploma con il massimo dei voti in flauto presso il Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma, conseguendo successivamente il diploma “solista” al Royal College of Music di Londra. Premiato nei concorsi di Ancona, Stresa, Palmi e Città di Castello, matura esperienze orchestrali in seno all’Orchestra della Radiotelevisione di Bucarest, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia di Roma. Come solista, è attivo in Europa, USA, Messico, Korea, Australia. E’ autore di libri, studi e composizioni per flauto.