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I flauti di tradizione cinese
di Marco Felicioni
Nell’estremo oriente si concentra maggiormente la presenza del valore spirituale ed evocativo della musica e del flauto; la considerazione delle qualità speciali dei suoni per l’antico popolo cinese era talmente alta che si attribuiva alla musica la capacità di contribuire a mantenere tutti gli esseri in perfetto accordo con l’armonia cosmica. Così il sovrano dell’antica Cina, capo del sistema modellato secondo l’ordine del cosmo, faceva ascoltare un determinato tipo di musica ai suoi sudditi, per infondere in loro armonia e virtù. Il famoso filosofo cinese Confucio affermava infatti: siamo destati dai canti, temprati dal rituale e perfezionati dalla musica , nel voler sottolineare il ruolo della musica, quale strumento a disposizione del sovrano per poter perfezionare e trasformare il proprio popolo. L’accordatura degli strumenti risultava di enorme importanza ed era effettuata in maniera davvero particolare; secondo la tradizione, il suono di riferimento corrispondeva al tono del famoso uccello mitologico, la fenice (conosciuto oltre che in Cina, anche in Grecia, Egitto e Medio Oriente). Tale suono, riprodotto da un flauto di bambù, trasmise a questo strumento la simbologia di rinascita spirituale ed interiore, tipica della fenice che, come noto, rinasce dalle proprie ceneri. Il flauto si identificò quindi in un autentico strumento che porta al perfetto accordo con l’armonia cosmica. Le manifestazioni dell’unità spaziale ad esso correlate furono: la montagna, quale luogo sacro e simbolo di elevazione; la primavera, stagione nella quale si assiste alla rinascita della natura con le straordinarie trasformazioni; l’est, punto cardinale e simbolo di rinascita giornaliera (con l’inesauribile potenza e ricchezza del sole).
È interessante segnalare che in Cina la controparte femminile del drago è la cosiddetta fenghuang, ossia la fenice (sempre riferita al mito cinese). Inoltre, figure serpentiformi di vario genere ricorrono anche nella mitologia germanica, dove il drago appare come custode di tesori o mostro che infesta i territori.
Il Xiao, chiamato anche Dongxiao, a detta dei più famosi e accreditati etnomusicologi, è da considerarsi il primo vero strumento musicale della storia; Curt Sachs ed altri lo classificano come tale, andandolo a distinguere dagli altri flauti ancora più antichi, che però sono da ritenersi strumenti di utilizzo strettamente rituale e non in grado di produrre una vera e propria melodia. È un flauto verticale, con imboccatura cosidetta “a tacca”, che, per il il tipo di produzione del suono, lo fa assomigliare più ad un flauto traverso che a quello diritto.
Il flauto riconducibile al Xiao è uno strumento diffuso nella popolazione cinese già migliaia di anni fa. La sua origine deriva dal Paixiao (un flauto a più canne come quello di Pan). All’inizio della sua storia, si scoprì che aprendo fori a diverse distanze su un’unica canna si potevano produrre suoni alti e bassi, quindi il Paixiao con più canne si trasformò nel Dongxiao con un’unica canna a più fori. L’odierno Xiao appare già in epoca Han con il nome di Qiangdi, che era originariamente uno strumento dell’etnia Qiang; nel I secolo a.C. si diffuse nel bacino del Fiume Giallo e si trasformò gradualmente nella forma a 6 fori, molto simile all’attuale Xiao. La struttura del Xiao è piuttosto semplice; può essere realizzato con bambù nero, giallo o bianco; l’estremità dove si trova l’imboccatura è quasi completamente chiusa ed è lasciato aperto solo il foro per l’insufflazione dell’aria. Ha 5 fori sulla parte anteriore, uno su quella superiore del dorso e 3 o 4 fori ausiliari in basso per regolare l’intonazione, abbellire il timbro e aumentare il volume; l’interno del tubo è solitamente laccato rosso per rendere lo strumento più resistente.
I flauti di tradizione cinese, come quasi tutti quelli di derivazione dell’Estremo Oriente, hanno come nota di riferimento quella ottenuta dall’occlusione dei fori della sola mano sinistra o (nel caso inverso dell’uso delle mani), dei fori della parte alta dello strumento. Contrariamente ai flauti e agli strumenti a fiato dell’antico Occidente, nei quali la nota di riferimento corrisponde quasi sempre a quella più grave e a quella ottenuta dall’occlusione di tutti i fori dello strumento, nei flauti cinesi la nota di riferimento lascia al di sotto di essa, un intervallo di una quarta o di una quinta inferiore.
Il Xiao ha una sonorità dolce ed elegante, con la zona dei bassi profonda e quella dei medi, dolce e piena. La tecnica di interpretazione del Xiao è adatta principalmente alle melodie raffinate, tranquille e liriche che esprimono paesaggi naturali e sentimenti intimi. Il Xiao possiede una ricca espressività, potendo essere utilizzato da solo e in gruppi orchestrali; figura inoltre in melodie folcloristiche suonato insieme a strumenti tradizionali a corde e a fiato del sud del Fiume Azzurro, ed in musiche locali del Fujian e del Guangdong. È infine utilizzato nell’espressione dell’opera classica cinese, per la parte destinata all’accompagnamento della musica tradizionale. Esistono diversi tipi di Xiao; tra quelli più comuni ricordiamo il Dongxiao di bambù nero, il Xiao di Yuping e il Xiao a 9 moduli. Attualmente esistono tipi di Xiao, realizzati in due parti, con la presenza quindi della testata, che gli permette di intonarsi con altri strumenti. Inoltre, anche l’aggiunta di altri fori (rispetto a quello tradizionale a 4 o 5 fori) va ad ampliare la possibilità cromatica dello strumento.
A fianco al Xiao, molto simile ad esso, troviamo anche il Nan Xiao, strumento sempre in bambù con nodi, spesso bianco (e non nero), che conserva anche parte della radice nella parte finale dello strumento. Questi particolari lo rendono molto simile allo Shakuhachi giapponese, che è appunto lo strumento che deriva da questi antichissimi strumenti cinesi e dai quali ha ereditato la stessa tipologia di produzione del suono. Il Nan Xiao prevede una laccatura interna di colore rosso che rende il materiale inattaccabile nel tempo e da eventuali insetti. Viene realizzato in varie altezze e con relative note di riferimento.
Anche il Dizi è il flauto traverso antichissimo e ampiamente diffuso in Cina; è realizzato con bambù naturale ed è anche chiamato Zhudi (bambù). È realizzato con la relativa canna, privata dei nodi, sulla quale si aprono un foro per l’imboccatura, uno per la membrana e sei fori per variare l’altezza dei suoni. Il foro per l’imboccatura è il primo, da cui viene insufflata l’aria, producendo la vibrazione interna e quindi il suono. Il secondo foro, detto mo kong, serve a fissare la membrana chiamata dimo, ricavata dall’interno della canna di bambù fresca e raccolta in primavera (un tempo si applicava un’ancia di canna o di bambù), che attraverso la vibrazione dell’aria dà origine al suo suono inconfondibile.
Il Dizi è realizzato in varie tonalità e quindi dimensioni; è piuttosto acuto (e di conseguenza corto) nei paesi del nord della Cina e tendenzialmente più grave nelle zone meridionali del paese. Questo flauto ha una storia di ben 7000 anni; circa 4500 anni fa il materiale utilizzato passò dall’osso al bambù. Alla fine del I secolo a.C. (all’epoca dell’imperatore Han Wudi) occupava una posizione molto importante tra gli strumenti a fiato del tempo. A partire dal VII secolo d.C. il flauto venne modificato, con l’aggiunta del foro per l’ancia (poi membrana) che ne sviluppò notevolmente l’espressività ed anche la tecnica di interpretazione raggiunse un alto livello. Nel X secolo, con la nascita e lo sviluppo delle poesie musicate e dell’opera Yuan, il flauto di bambù diventò il principale strumento di accompagnamento di queste forme artistiche. Anche nelle orchestre delle opere popolari e delle minoranze etniche il flauto di bambù è uno strumento immancabile.
Il dizi è realizzato anche in pietra, più esattamente in giada, materiale che ha un importante ruolo nella cultura antica cinese. Data la caratteristica della giada e della sua lavorazione, questi tipi di flauti non hanno una lunghezza elevata, che raramente supera i 30 centimetri. Il valore spirituale del dizi in giada è notevole, perché, oltre a simboleggiare la nobiltà, rappresenta un simbolo sacro legato ai riti della divinazione, ritenendo fosse in grado di scacciare gli spiriti maligni e di donare l’immortalità.
Il Xun è uno dei più antichi strumenti a fiato cinesi, con una storia di circa 7000 anni e tradizionalmente utilizzato nella musica di corte. È assimilabile allo strumento globulare europeo più famoso: l’Ocarina.
Secondo la leggenda, avrebbe avuto origine da un attrezzo da caccia detto meteora di pietra. Nell’antichità il cacciatore fissava ad una corda una pietra rotonda o una palla di fango lanciandole poi contro uccelli o animali. Alcune palle erano vuote e risuonavano in volo; pertanto, trovando divertente questo fenomeno, si iniziò a suonarle, così la meteora di pietra si è man mano trasformata in uno strumento musicale. All’inizio il xun era di pietra o di osso, diventando poi di ceramica, con diverse forme: ovale o a palla, a forma di pesce o a pera, che risulta il più comune. La parte superiore ospita l’imboccatura di tipo naturale, con un foro analogo a quello di un flauto traverso; il fondo dello strumento è piatto, mentre le pareti concave presentano vari fori. Le forme più antiche avevano un unico foro; alla fine del III secolo a.C. si ritiene già affermata la configurazione definitiva dello strumento con i sei fori.
Il professor Cao Zheng del Conservatorio centrale cinese ha iniziato a realizzare riproduzioni di antichi modelli di xun in ceramica a partire dagli anni ‘30 del secolo scorso. In seguito, sulla base del xun a 6 fori a forma di pera, il professor Chen Zhong del Conservatorio di Tianjin ha creato un xun a 9 fori di ceramica purpurea di Yixing, nella provincia del Jiangsu. Esso mantiene non solo la forma e la tonalità originaria del xun tradizionale, ma presenta un ampliamento del volume e registro musicale, potendo interpretare la scala musicale e i cromatismi. La nascita del xun a 9 fori simboleggia la ripresa della vitalità dell’antico xun. In seguito uno studente del professor Chen Zhong, Zhang Liangshan, della troupe di canto e danza della provincia del Hubei, ha creato un xun a 10 fori di palissandro, risolvendo il problema della ristretta estensione dello strumento.
Marco Felicioni
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Marco Felicioni (Flauto), concertista e solista, svolge un’intensa attività in Italia e all’estero, esibendosi a fianco di artisti di fama internazionale.
Ricercatore e collezionista di flauti storici ed etnici da trent’anni, è autore di testi storico-didattici e tiene regolarmente corsi di perfezionamento strumentale e di interpretazione musicale.
Vincitore di concorsi nazionali e internazionali, dal 1997 al 2010 è stato Primo Flauto dell’Orchestra del Teatro “Marrucino” di Chieti, Teatro Lirico d’Abruzzo, collaborando con varie orchestre italiane e straniere.
É direttore artistico del “Pescara FLUTE Festival” ed è presidente dell’Associazione Culturale “Il Canto del Vento” di Pescara.
Ha ricevuto premi e riconoscimenti per la trentennale attività concertistica svolta in Italia e all’estero oltre che per la composizione, l’arrangiamento e la direzione di diverse orchestre giovanili.
Ha inciso più di 20 cd in veste di solista, con gruppi cameristici e formazioni orchestrali per Naxos, Velut Luna, Sculture d’Aria, Well Music International, registrando anche per il cinema; ha preso parte a concerti ripresi dalla Rai, RaiSat, Canale 5 ed a eventi trasmessi in mondovisione.