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Il Duduk: un dono di Dio
Il suono dell’anima armena
di Anush Naroyan
L’Armenia è un paese antico: la sua cultura, così come le sue tradizioni, vantano una storia millenaria. Basterebbe evocare alcuni nomi: il monte Ararat, il lago Sevan…
Già presente sulla mappa babilonese del V secolo a.C., il nome “Arminia” è menzionato per la prima volta dal re persiano Dario I (522 – 486 a.C.) e scritto in caratteri cuneiformi.
Lo spirito dell’Armenia è nel suono del duduk: è qui che risiede l’anima del suo popolo. Un timbro dolce, nasale, evocativo, struggente che può descrivere il dolore così come l’estasi, la meditazione così come la preghiera.
Duduk: un nome che l’etimologia popolare fa derivare dalle sillabe du, fu, tui, che si pronunciano quando si suona lo strumento.
La “Cartagine armena”
Nel periodo che va dal sec. IX al VI a.C., nella regione armena si viluppò una cultura molto avanzata: si creò uno Stato, chiamato Urartu, dove esisteva uno strumento simile al duduk. Dunque, possiamo ritenere che il duduk abbia una storia di 3000 anni.
Tuttavia, secondo una diversa ipotesi, il duduk fa la sua apparizione al tempo del re Tigran II il Grande, che governò l’antica Armenia nel I secolo a.C., nel periodo chiamato “l’età dell’oro” della Grande Armenia.
La valle dell’Ararat divenne ben presto un centro culturale e politico, che i Romani chiamavano “Cartagine armena”. Lo storico armeno del V secolo Movses Xorenaci cita nelle sue cronache questo strumento, chiamato “Tsiranapoch” o “canna di albicocca”.
Ed è proprio questo il legno originario che si usa nella costruzione del duduk: il legno dell’albero di albicocca, tipico di questa zona e chiamato dai Romani, non a caso, “prunus arminiaca”.
Una bella storia d’amore…
Si tramanda anche una leggenda riferita al “tsiranapogh”; ed è una bellissima storia d’amore.
“Il giovane vento si era innamorato di un bellissimo albero di montagna. Quando seppe di un forte tornado si arrabbiò e, geloso, disse che avrebbe distrutto il bellissimo albero. Il giovane vento gli chiese di non farlo e il tornado acconsentì. In cambio, il giovane vento si impegnò a non volare mai più: se non avevsse mantenuto la promessa, l’albero sarebbe morto. Il giovane vento mantenne la sua promessa fino all’autunno; poi però, dimenticandola, riprese a volare: il bellissimo albero di montagna scomparve immediatamente.
Un ramoscello fu lasciato al posto dell’albero. Un persiano prese il ramo e fece una canna a forma di flauto (tsiranapoch), che suonava la sua bella canzone sulla fede e sull’amore”.
Così, secondo la leggenda, sarebbe nato il duduk-tsiranapoh.
In seguito, grazie al commercio che poneva in contatto comunità di regioni diverse, il duduk si diffuse progressivamente in altri paesi: Persia, Medio Oriente, Caucaso, Asia Minore, Crimea, divenendo elemento culturale anche di altri popoli.
Descrizione e costruzione del Duduk
Il duduk viene realizzato interamente a mano da artigiani; non esiste una produzione industriale.
Le condizioni climatiche specifiche dell’area dove crescono gli alberi da cui si ricava il legno di albicocca conferiscono al suono morbidezza e tonalità uniche. Si è tentato di utilizzare altri legni per la sua costruzione: olivo, noce, pruno… ma il suono che ne risulta è notevolmente diverso.
Il duduk è uno strumento a fiato, cilindrico, in legno, con una ancia doppia.
Il tubo presenta 8 fori per le dita, più un foro per il pollice.
Il corpo del duduk ha una lunghezza di 28-40 cm. con un foro in basso per l’accordatura.
Per intonare lo strumento, l’esecutorre chiude il foro con lo stomaco o con il ginocchio, a seconda della posizione in cui sta suonando (seduto o in piedi). L’ancia – in armeno “mundshtuk” – di 9-14 cm., è formata da due lamine più larghe a un’estremità.
L’altezza tra le due ance è regolata da un anello di cuoio (“xamutik”) che, oltre ad unirle, le protegge dallo screpolamento e da possibili perdite d’aria.
L’ancia deve essere sapientemente inumidita, per poter vibrare adeguatamente. È raro che un musicista trovi subito l’ancia ideale per il suo duduk. Di solito, si cambiano spesso, finché non si è trovata l’ancia adatta….
Per suonare è richiesta una buona respirazione diaframmatica, con guance leggermente gonfie, postura e rilassamento corretti.
Nell’esecuzione strumentale, si utilizza spesso la tecnica della respirazione circolare. Il vibrato si ottiene con un particolare, tipico movimento del labbro superiore.
Negli anni Venti-Trenta del secolo scorso, Vardan Bouni (1888-1960) ha realizzato vari modelli di duduk: il più basso è il baritono, che prende il nome da “Bunifon”. Ad oggi, ci sono sette varietà di duduk.
A seconda della lunghezza del tubo, possiamo avere diversi modelli, generalmente indicati come: G, A, B, H, C, D, E, F. Il suono di ogni modello presenta alcune differenze. Tuttavia, le tre dimensioni di base sono:
- Il modello in LA, adatto per la maggior parte delle melodie. Con una lunghezza di 35 cm., ha una estensione che va dal Fa al Si naturale.
- Il modello NTO: lungo 31 cm, ha una nota più bassa e una più acuta. È adatto per duetti e composizioni liriche.
- Il modello in Mi, il più piccolo. Lungo 28 cm., è impiegato nella musica popolare e nel ballo.
Estensione e intonazione
L’estensione del duduk è di una sola ottava, con l’aggiunta di 2-3 note, dal Fa diesis della prima ottava al La della seconda. Nel modello maggiore si aggiunge una chiave per facilitare la chiusura del foro inferiore e suonare così la nota più bassa.
La sua accordatura è diatonica. Possiamo pertanto ottenere una scala maggiore e una minore. Il modello in La avrà pertanto la scala di La Maggiore e quella di Fa diesis minore.
I semitoni si ottengono chiudendo parzialmente i fori.
Diteggiatura
Importante sottolineare il fatto che il duduk – tranne che nel modello NTO – è uno strumento traspositore, al pari del clarinetto.
Il suono dello strumento è prodotto dalla vibrazione di due ance e da una variazione della pressione dell’aria nella lingua: per variare l’altezza dei suoni, si aprono e si chiudono i fori con le dita, così come avviene in altri strumenti a fiato (flauto).
Esecuzione
La presenza del duduk è costante e significativa in ogni celebrazione in Armenia.
Il suo repertorio è composto da brani tradizionali, popolari (lenti o veloci), danze e brani lirici, con ricchi ornamenti melodici.
Nelle danze, il duduk è generalmente accompagnano da uno strumento a percussione, detto “daouli”.
Caratteristico è il “mugam” o “mugham”, composizione molto complessa accompagnata da un secondo duduk: il primo, il solista, suona la melodia; il secondo duduk, chiamato “dum” si associa al primo: e il “dumkash” suona costantemente una nota, usando la respirazione circolare.
Il compositore Padre KOMITAS (1869-1935), ascoltando i canti popolari monodici dei contadini, annotava le melodie nel taccuino che portava sempre con sé, affinché questi tesori non venissero smarriti nel tempo… Questi canti descrivono la tragedia del popolo armeno. Tra i balli, ricordiamo i più famosi: Kotsari, Berd, Nazani.
Il duduk nella musica “classica”
Oltre che nel repertorio tradizionale, il duduk è usato anche nella musica classica.
Possiamo citare il compositore Vache Sharafyan e il Silk Road Progect, nato allo scopo di rivelare i suoni e l’anima del duduk armeno in tutto il mondo. Il Road Progect Ensemble è stato presentato a Colonia, presso la Filarmonica di Bruxelles, all’Amsterdam Concert Hall, negli Stati Uniti, in Italia (Roma, Milano, Firenze) e in altri Paesi: i concerti hanno ottenuto sempre un grande successo di pubblico. Sharafyan ha così dato vita ad un nuovo concetto di composizione sonora, che scaturisce dall’incontro della tradizione armena con la cultura occidentale.
Il suono del duduk si può ascoltare nel film del grande regista del Sergej Parajanov “Il colore del melograno”, nell’esecuzione di Djivan Gasparyan (1928-2021).
Lo stesso Gasparyan, definito “il custode dell’eredità musicale della sua Nazione”, ha fatto conoscere al pubblico di tutto il mondo la bellezza di questo strumento, con il quale ha addirittura interpretato musica medievale.
Nel 1947 suonò a Mosca, alla presenza di Stalin che, per l’occasione, gli regalò un orologio “Pobeda” (“Vittoria”).
Gasparyan è anche autore di colonne sonore per i film di Hollywood, grazie alle quali ha ottenuto premi e riconoscimenti. Ha inoltre collaborato con musicisti famosi: Lionel Richie, Sting, Hans Zimmer, Brain May, Andreas Vollenweider, Peter Gabriel….
Un aneddoto curioso, raccontato dallo stesso Gasparyan: in un suo concerto a Fresno, negli Stati Uniti d’America, la sala era gremita di Armeni. Uno di questi chiese a Gasparyan di suonare una antica melodia armena. Il Maestro accettò l’invito ma l’uomo, nell’ascoltare la melodia, fu colto da tale commozione che morì all’istante…
Ovviamente, ci sono altri esecutori di talento, internazionalmente riconosciuti: tra questi, Vache Hovsepyan, Mkrtich Malxasian, Sergey Karapetyan, Bradimir Kroyan.
Nel 2005 l’UNESCO ha incluso il suono del duduk armeno nell’elenco del patrimonio culturale dell’umanità, proprio in considerazione della sua unicità. In un’intervista, Djivan Gasparyan ha ricordato che americani e giapponesi hanno tentato di riprodurre il suono del duduk, senza però riuscirci. Forse è per questo che il compositore armeno di fama internazionale Aram Khachaturian ha dichiarato: “Il duduk è l’unico strumento che mi fa piangere”.
Viene da pensare che il duduk sia davvero un dono di Dio.
Anush Naroyan
Anush Naroyan è nata in Armenia. Nel 1999 si è laureata presso l’Armenian State Musical College intitolato a Tavrizyan, specializzandosi in didattica del flauto, orchestra e musica d’insieme. Dal 1999 insegna in scuole e istituti musicali, svolgendo anche attività concertistica in diversi ambiti: ha suonato nel gruppo rock “Forza maggiore” e, contemporaneamente, nell’orchestra statale di canti e balli popolari, svolgendo attività concertistica con l’Orchestra da Camera di Stato dell’Armenia in Armenia, Europa e Medio Oriente. Dal 2007 vive e svolge attività didattica in Grecia.
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“The voice of God”: yes, it is true.
The duduk, with his magic sound, can express the real soul of Armenia.
Congratulations, Anush!
Grazie di cuore.?
This article should be taken as an example of love for one’s work… It brings the joy of rediscovering music, and makes us seriously risk starting to play an instrument… Thank you.