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Esiste una “etica interpretativa”?
di Onorio Zaralli
E’ una questione delicata, ma troppo fondamentale per non essere affrontata.
Partiamo da una dichiarazione di Arturo Toscanini: a chi gli chiese, un giorno, “Maestro, qual è il suo stile?”, Toscanini rispose “Il mio stile è quello degli autori che dirigo: Haydn, Mozart, Beethoven”.
Perfetto. Il punto è proprio questo: il musicista ha un dovere “etico”, quello di rivelare lo spirito del compositore che interpreta. E proprio questo è il significato della parola “interprete”: colui che conosce e traduce ad altri il significato di un messaggio – artistico, nel nostro caso.
Dunque, l’interprete musicale deve possedere delle qualità che vanno ben al di là della esecuzione strumentale, sia pure di altissimo livello tecnico.
- Cultura musicale, intesa proprio come conoscenza dell’armonia e della composizione. Ciò gli consente di ripercorrere con consapevolezza il processo creativo di una sonata, di un quartetto, di un concerto;
- Senso della storia e dei modelli estetici che fanno da cornice al brano eseguito: Bach e Vivaldi sono entrambi autori barocchi, ma Bach è espressione del Barocco tedesco, che è ben altra cosa rispetto al Barocco italiano di Vivaldi;
- Umiltà: ciò evita all’interprete di “sovrapporsi” al compositore che esegue, e – allo stesso tempo – gli permette di percepirne la personalità, lo stile, la precisa individualità artistica.
Solo quando si esegue la “propria” musica, compositore ed interprete coincidono in un’unica personalità: è il caso dei grandi virtuosi del passato, come Paganini, Chopin, Liszt, Rachmaninov, ma anche di contemporanei.
Accade però che il desiderio di mettere se stessi al centro dell’esecuzione musicale troppe volte pregiudica questo privilegio davvero unico, quello cioè di essere rivelatori, “medium”, di compositori straordinari del passato.
E’ un vero peccato, perché si propongono interpretazioni poco attendibili e si rinuncia alla possibilità di interpretare stili diversi, proprio come diceva Toscanini.
Venendo al nostro repertorio, tanto per fare qualche esempio, basterebbe considerare come siano diversi il secondo movimento del “Gardellino” di Vivaldi dal secondo movimento della Sonata in Si minore di Bach. Nella scrittura di Vivaldi emergono il colore e la cantabilità del melodramma barocco italiano; il quello di Bach, traspare lo spirito luterano della Germania del Settecento.
O come siano diversi il suono in un Mercadante (più vicino alla lucentezza di quello di Rossini) rispetto a quello delle Variazioni di Schubert, perfetta espressione del primo Romanticismo viennese.
O, ancora, la diversa concezione del suono, del vibrato, dell’articolazione nella Sonata di Poulenc rispetto a quella di Prokofiev, o di Hindemith, spesso eseguito quasi romanticamente, quando lui stesso di autodefiniva “anti-romantico”.
Dunque, l’interprete ha un chiarissimo dovere etico, e proprio in questo sta la sua grandezza. Non si tratta, infatti, di rinunciare a mostrare la propria personalità a favore di quella del compositore che si esegue. Tutt’altro. La grandezza di un interprete è proprio quella di rendersi “trasparente” e di lasciar emergere tutta la straordinarietà del compositore di cui, in quel momento, è “medium” sulla scena. Ne sta rivelando lo spirito, potremmo dire, lo sta riportando in vita.
Al contrario della pittura infatti, dove l’opera è donata alla storia dall’artista creatore, la partitura musicale ha bisogno di qualcuno che le dia costantemente vita: e questo qualcuno deve chiaramente avvertire tutto il peso di questa responsabilità. Una responsabilità particolare e straordianaria allo stesso tempo. Ma è anche un privilegio: quello di incarnare il “mistero” di un linguaggio universale che può davvero parlare a tutti, al di là dei confini e della storia.
Se non si è consapevoli di questo, difficilmente si può essere interpreti.
Vi invito a seguire questo video e ad apprezzare ancora una volta lo “stile” interpretativo di Horowitz che non cede mai alla spettacolarizzazione. Questo, solo questo, è essere “Artisti”.
O. Zaralli
www.onoriozaralli.webnode.it | Scuola Flautistica Italiana | Youtube
Onorio Zaralli si diploma con il massimo dei voti in flauto presso il Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma, conseguendo successivamente il diploma “solista” al Royal College of Music di Londra. Premiato nei concorsi di Ancona, Stresa, Palmi e Città di Castello, matura esperienze orchestrali in seno all’Orchestra della Radiotelevisione di Bucarest, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia di Roma. Come solista, è attivo in Europa, USA, Messico, Korea, Australia. E’ autore di libri, studi e composizioni per flauto.
Muy interesante el artículo, maestro. Qué importante reflexionar sobre este profundo tema sobre la interpretación “correcta” de las obras y sobre la gran responsabilidad que tenemos como músicos el intentar dar vida y transmitir el espíritu creador del compositor. Es un trabajo arduo, sumamente espiritual…una verdadera fusión de almas! Que maravilloso escuchar a la gran leyenda del piano Vladimir Horowitz. Una interpretación tan personal.
Un argomento fondamentale da trattare, in un’era dove troppe esecuzioni diventano solo autoglorificazioni degli esecutori e non vere interpretazioni storiche e di stile.
Grazie maestro Zaralli per questo articolo sapientemente scritto