Psicocinestesia nel flauto traverso

di Mirella Pantano

Nei miei anni di esperienza nella Didattica Flautistica ho avuto modo di constatare che imparare ad esprimersi musicalmente richieda una maturità sia fisica che psichica, a cui si può giungere con un approccio didattico e di studio di tipo psicocinestetico. Lo sviluppo di questa consapevolezza musicale non può prescindere dalla acquisizione, dal controllo e dalla comprensione, dunque degli elementi basilari della fisiologia e della psicologia che si cela dietro l’atto emissivo, inteso non come singolo atto tecnico finalizzato all’emissione sonora, ma un vero e proprio atto consapevole di costruzione della identità sonora, che si riflette nel prodotto finale della attuazione del pensiero musicale.

Non è possibile dunque codificare un atto espressivo prescindendo dalla respirazione; l’atto ritmico-cinestetico che si compie è infatti per l’uomo il fondamento psico-fisico della vita.

La fisiologia umana coniuga il respiro con la voce, quale primo prodotto sonoro, un prodotto che precede evolutivamente la parola e qualunque altra forma di costruzione emissiva che utilizzi strumenti esterni; la voce è capace, già in nuce, quale atto primigenio, di offrire una espressione a partire dagli andamenti melodici, prosodici, timbrici e temporali ad essa connaturati.

Fantasia e creatività si mescolano infine per raggiungere una varietà espressiva che comprende suoni diversi in una sfida costante generata dall’impulso di esprimersi con un linguaggio fatto di suoni formati da toni e registri diversi.

L’acquisizione, dunque, nel percorso di crescita dell’individuo, delle capacità di traslare in forma strumentale la complessità della vocalitá espressiva, diventa elemento fondamentale. E a questo deve tendere l’approccio psicocinestetico.

Esso aiuta a migliorare il nostro sistema sensoriale e la nostra memoria, a lavorare con il corpo e lo strumento in una coordinazione perfetta, attraverso esercitazioni e tecniche mirate.

La nostra sensibilità muscolare cinestetica interviene nella regolazione dell’attività strumentale, fornisce consapevolezza dei propri muscoli e dei loro movimenti. La nostra psiche ci porta a sviluppare la capacità di utilizzare tali strutture nelle attività di produzione attraverso la riflessione e introspezione sul nostro operato, per avvicinarci il più possibile alla esecuzione che abbiamo codificato nella nostra idea musicale. Maggiore sarà questa identificazione tra atto reale e proiezione mentale, maggiore sarà la sensazione di possedere una propria dimensione espressiva, un proprio personale linguaggio.

Il corpo è parte dello strumento e non una sua appendice; è la parte VIVA della catena di produzione del suono. Spesso pensiamo al nostro strumento come ad un oggetto estraneo a noi che dobbiamo in qualche modo dominare. Così pensando, sbagliamo approccio cioè non diamo la giusta importanza al nostro corpo da cui parte tutto. Il nostro strumento, qualunque esso sia, inizia dal nostro corpo, dalla nostra mente interiore e prosegue poi nello strumento che diventa così la nostra voce.

Da qui si evince che solo la sinergia perfetta tra i due elementi può produrre l’evento musicale. La performance strumentale ci coinvolge non solo sul piano intellettuale, ma anche sul versante corporeo in un binomio mente-corpo che nell’atto performativo è assolutamente necessario ed inscindibile.

Attraverso l’atto esecutivo, lo strumentista traduce in una materia percepibile all’esterno le relazioni che si stabiliscono all’interno della propria idea interpretativa; questo l’articolo ha posto la sua attenzione sull’ approccio psico-cinestetico, che ritengo sia l’unico in grado di produrre la consapevolezza del processo musicale.

Il discorso si amplia e complica ovviamente, se poniamo l’accento sul contenuto dell’atto performativo, cioè sul possesso di quelle competenze estetico-musicali che esulano dal semplice apprendimento meccanico del gesto. Quando ci si avvicina allo studio della musica, infatti, la maggior parte degli sforzi sono volti allo sviluppo delle capacità di decodifica del codice e di trasferimento dal pentagramma alla diteggiatura specifica dello strumento. Saper suonare è ridotto frequentemente alla capacità di lettura di un brano, mentre vengono trascurate le competenze connesse alla esplorazione timbrico-espressiva, la conoscenza della musica come terreno creativo, la manipolazione degli aspetti ludico-improvvisativi ed organizzativi del materiale sonoro.

Questo produce una asimmetria importante, che può condizionare il “saper fare” tramutandolo in una mera attività meccanicistica, rallentando ed inibendo lo sviluppo delle capacità di produzione autonoma del proprio pensiero sonoro.

Non sapere “cosa fare” nel discorso musicale ci porta ad ottenere un risultato casuale, discontinuo ed insicuro, che pregiudica la nostra serenità più di quanto non faccia la presenza di errori tecnici o di momentanee imperfezioni.

In questo senso, avere una chiara percezione del suono e della sua natura, diventa elemento di coesione performativa, alleato di una matura gestione del materiale musicale e facilitatore della natura comunicativa della performance musicale.

La psico-cinestetica si rivela dunque come la nostra capacità di pensare, “sentire” il suono dentro di noi prima ancora che fluisca dal nostro strumento e successivamente giunga attraverso il mezzo condiviso dell’aria, all’ascoltatore.

Il mio percorso, utilizzato per fini di studio e di apprendimento, aiuta a maturare tutte quelle pertinenze alla conoscenza del nostro strumento di cui abbiamo bisogno; come una macchina ben funzionante, tutto deve essere sulla stessa onda e muoversi in sincrono perfetto.

Psiche e movimento sono uniti da un obiettivo più grande, cioè l’espressione artistica.

La nostra capacità di introspezione ci aiuta a prendere noi stessi come oggetto di studio, ad imparare a scoprirci. Saper trovare nuovi punti di vista ed angoli di osservazione non convenzionali nella musica con cui ci approcciamo, può aiutarci a trovare nuove chiavi di lettura di elementi apparentemente convenzionali.

La musica, infatti, si può osservare da innumerevoli punti di vista. Scendendo in profondità, leggendo oltre l’ostacolo tecnico o l’aspetto formale si può arrivare a cogliere aspetti che spesso ad uno sguardo superficiale sfuggono.

Ogni brano si può raccontare come un quadro sonoro, nelle cui trame si annidano suggerimenti e porte di altri mondi, altre chiavi interpretative, altre suggestioni; rivelando ciò che non si vede potremo coglierne la sua essenza più intima. Questo lavoro di indagine, che coinvolge tutti gli aspetti finora citati, è indispensabile per acquisire una capacità tecnico-musicale unica e riuscire a veicolare la nostra espressività dal nostro io profondo fino al pubblico.

La parte di esercitazioni (ed in generale l’intero approccio psicocinetico) allenano ciò che mette in contatto un ragionamento, un’emozione (da questo la parola psico) e un movimento (da questo la parola cinetica). Questa capacità deve essere potenziata come mezzo per sviluppare la coscienza nella produzione tecnico-musicale.

Per sfruttare al meglio il lavoro sulla psico-cinestetica, bisogna programmare le sedute d’allenamento, stilare gli obiettivi che si vogliono raggiungere, chiarire quale capacità vogliamo allenare ed infine agire per gradi, come in tutte le esercitazioni il mio principio cardine è quello della gradualità.

Lo scopo principale delle esercitazioni è quello di formare un musicista che sappia “osservare” con la mente, avere cioè una visione dell’atto musicale, una sorta di osservazione dall’esterno e dall’interno, visualizzando ogni movimento, ogni respiro, ogni attacco, ogni suono. La mente deve riuscire in maniera ottimale ad osservare e poi produrre con consapevolezza.

Il musicistadeve essere bravo a tenere elevata l’attenzione, magari scegliendo esercitazioni divertenti e il più possibile variegate, in modo così da tenere anche alto l’entusiasmo.

Gradualità, consapevolezza, variazioni, ripetitività delle esercitazioni e memorizzazioni aiutano a ben assimilare quello che stiamo ricercando. La musica è ricerca del proprio io interiore a fini artistici.

Per fare un piccolo esempio, si può parlare del nostro suono; esso inizia prima ancora del nostro respiro, nella nostra testa, dobbiamo sentirlo vibrare dentro. Non è solo frutto di una stimolazione neurale, ma il principio del nostro essere. In esso c’è tutto quello che siamo, che siamo stati e che saremo; suoneremo esattamente come siamo, consapevoli di esprimere il nostro inconscio, che vive nascosto dentro di noi.

Siamo tutti fisicamente, emotivamente, spiritualmente e interiormente diversi, perciò, lavorando così possiamo tirar fuori il nostro IO musicale interiore. Solo allora raggiungeremo l’obiettivo di divenire un tutt’uno con il nostro strumento.

In conclusione posso dire che la psico-cinestesia, nella sua espressione più affascinante e le sue tecniche, ci aiutano a creare musicisti con una mentalità più duttile, con la consapevolezza di se nello spazio, con una percezione del corpo e dello strumento come un unicum fluido e vibrante, che sapranno essere concentrati per lunghi periodi, capaci di adattarsi e di agire al meglio ad ogni minima variazione della situazione e sapranno esprimere se stessi nella musica senza stravolgerne lo stile, ma aggiungendo ad essa il proprio IO intimo espressivo e musicale.

Questo che vi propongo è un esercizio di routine settimanale, ha come obiettivo raggiungere un suono omogeneo e pulito sulle tre ottave, richiede almeno 20 minuti al giorno per una settimana e si sviluppa in questo modo:

  1. controlla la posizione delle labbra;
  2. prepara il tuo corpo all’emissione;
  3. mentre sali lentamente nella scala di do maggiore rimani più possibile fermo con le labbra cercando di non mollare la tensione laterale, sentirai un leggero bruciore alle labbra non mollare, vuol dire che stai lavorando bene;
  4. quando hai bisogno di aria però respira con il naso senza mollare, questo per tutte le ottave, l’esercizio serve al controllo della posizione delle labbra, del flusso e velocità concentrandosi a stringere le labbra nei lati ma a lasciare morbido il centro;
  5. visualizza nella mente il flusso dell’aria e la nostra ancia virtuale, cioè il canale o corridoio da cui fluisce il suono, il muro verso il quale si infrange;
  6. ascolta la vibrazione dentro di te e quella del tuo strumento;
  7. non mollare e non avere fretta questa è la chiave del successo.

Verifica il risultato dopo una settimana se pensi di avere ancora bisogno ripeti ancora per un’altra settimana.


MIRELLA PANTANO

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Consegue la Laurea in flauto traverso, allieva di C. Tamponi e A. Pucello.
Svolge attività concertistica come solista, in orchestre sinfoniche, televisive, tra le quali “La corrida”, “Domenica In”, “Concerto di Natale 2009” e molte altre.
Svolge attività concertistica esibendosi come solista Parigi, Miami, Barcellona, Belgio, Valencia, in gruppi da camera, in duo pianistico con clavicembalo repertorio barocco e orchestre.
E’ docente di Masterclass flautistici con specifica in Flauto in do, basso. sol e ottavino.
Vince a soli 14 Anni il Primo premio assoluto al Concorso letterario di cui ê Presidente di giuria Libero de Libero, con premiazione in diretta su RAI DUE, da allora è autrice di innumerevoli favole musicali, per alcune delle quali “UN ALTRO CIELO” E “IL BOSCO PRODIGIOSO” sono state messe in scena, realizzando CD per uso didattico.