Riccardo Piacentini

L’arte dell’espressività

by Francesca Cescon

Il 7 aprile prossimo per la stagione concertistica Erremusica di Torino, eseguirò in prima assoluta Similare (al) fado, per flauto e pianoforte composto per l’occasione da Riccardo Piacentini.

Fino ad ora avevo potuto ascoltarlo solo nelle vesti di ottimo pianista all’interno del suo Duo Alterno insieme al soprano Tiziana Scandaletti ma non avevo mai letto le sue partiture perciò, vista l’occasione, ho colto l’attimo per conoscerne meglio l’opera.

Riccardo Piacentini è un compositore piemontese con un bagaglio di studi molto interessante: diplomato in pianoforte e composizione, ha studiato con Goffredo Petrassi e Franco Donatoni, due ‘giganti’ dalla personalità molto differente. Inoltre ha seguito le lezioni di Bussotti, Morricone e André Richard (per la musica elettronica). Il suo catalogo compositivo è molto vario e le sue musiche sono regolarmente eseguite in Italia e all’esterno per importanti stagioni e Festival di Musica contemporanea.

Numerose sono le composizioni che Riccardo ha dedicato al flauto impiegandolo non solo come solista ma anche in diversi ensemble cameristici. E ha conseguito la Laurea in Lettere e Filosofia proprio con una tesi su Petrassi.

Ma in quale maniera il compositore piemontese si è avvicinato al nostro strumento? Nella piacevolissima conversazione che abbiamo avuto, ohimé!, a distanza, egli racconta che già da studente era interessato ad approfondire la “conoscenza perfomativa” (per citare lo stesso) dei diversi gruppi strumentali. Come pianista accompagnatore infatti, seguiva diverse classi e in questo modo egli aveva potuto esaminare da vicino le varie peculiarità sonore: dal fagotto, al contrabbasso, fino ad arrivare al flauto. E questa pratica lo ha iniziato a quel rapporto compositore- esecutore che è fondamentale per lui e per numerosi altri creatori.

Molti suoi pezzi infatti sono stati scritti per determinati esecutori e per determinate situazioni, ma una precisazione va fatta. Per Piacentini, questo non vuol dire che il pezzo non possa essere utilizzato in altre situazioni o luoghi. La musica non è esclusiva, legata solo a determinate persone e momenti, ma può essere riutilizzata per momenti anche molto differenti gli uni dagli altri.

Ma se si ritorna al dualismo compositore- interprete e se si parla delle composizioni dedicate al flauto, il suo nome deve essere associato a quello di Annamaria Morini, musicista straordinaria e promotrice di numerose pagine che sono andate ad arricchire il nostro repertorio contemporaneo.

Di lei il compositore piemontese ricorda, quasi commuovendosi, la sua “estrema franchezza e delicatezza nell’esprimere le sue opinioni” (cit. sua) e le ore di meticoloso lavoro durante le quali sviscerava ogni aspetto dello strumento prediligendo, tra tutti, quello espressivo. Piacentini sottolinea come la flautista bolognese non amasse le composizioni che potevano sembrare dei semplici “cataloghi di effetti” e tali da risultare banali enunciazioni di tutte le tipologie esecutive. E lui si dichiara completamente d’accordo con il suo pensiero: in tutte le sue composizioni infatti la tecnica esecutiva non deve essere fine a sé stessa, l’attenzione al timbro, alle diverse modalità di attacco e di emissione sono al servizio dell’espressività come anche della melodia.

 Dalla collaborazione con Annamaria sono nati brani meravigliosi tra cui qui vorrei ricordare Amariamori del 1992 per flauto in sol e Shahar (1996, rev. 1999) per flauto basso.

All’interno delle sei sezioni in cui è diviso il primo brano, sono presenti soffi ottenuti con l’imboccatura più o meno aperta, pizzicati di labbra, tongue -ram, tremoli di armonici, whistle tones e colpi di sole chiavi. Questi effetti che qui risultano più evidenti dato il diametro maggiore del tubo dello strumento, non prevalgono però sulla melodia. Anche se questa potrebbe risultare difficile da cogliere, c’è. Per esempio nella seconda sezione una linea melodica di note solo soffiate si alterna ad un’altra di cluster creando quindi la percezione di una seconda voce.

In questo brano dunque l’esecutore deve veramente dimostrare non solo una piena padronanza dello strumento e di tutte le tecniche contemporanee ma avrà assimilato completamente la poetica del testo solo se farà sue le numerose indicazioni metronomiche e differenzierà in maniera precisa la durata delle coronoe (di noniana memoria). Ma non solo: particolare riguardo deve essere posto anche verso le dinamiche che colorano il brano con una varietà di sfumature non indifferenti.

 Una sezione molto interessante è la quinta, la penultima, dove abbiamo la presenza dei whistle tones che creano un’atmosfera sospesa e quasi impalpabile all’interno della partitura.

L’ultima finestra invece, quella conclusiva, si rivela veramente molto concitata e in netta contrapposizione rispetto alla precedente; nella sesta sezione poi le dinamiche risultano essere estreme e il pezzo si conclude in un re sovracuto in ffff.

L’altra composizione molto interessante tratta dal ricco catalogo di Riccardo Piacentini è Shahar del 1996.

Il brano trae ispirazione dai versi di Nadar per il quale è giusto spendere due parole di presentazione. Questi non solo fu un grande pioniere della fotografia francese (fu il primo che sperimentò la fotografia aerea a bordo di una grande mongolfiera) ma anche un intellettuale molto attivo nella vita culturale parigina stringendo amicizia con Charles Baudelaire e Jules Verne. Quest ultimo si ispirò proprio alla vita del fotografo per la creazione di capolavori quali Cinq Semaines en ballon e il più famoso De la Terre à la Lune. Nadar realizzò forse la sua più importante opera, il Panthéon Nadar che, iniziato nel 1850 come raccolta di caricature, comprende poi i ritratti dei più importanti personaggi del mondo culturale parigino catturati dalle prime macchine fotografiche. Ma Nadar fu anche un importante mecenate dato che, all’interno del suo atelier, organizzò gratuitamente la prima grande mostra collettiva di giovani pittori come Claude Monet, Edgar Degas e Pierre Auguste Renoir.

Un personaggio estremamente singolare Nadar e solo interiorizzando i versi dello stesso possiamo capire appieno il brano di Piacentini.

La parola cunicoli è forse quella più importante: i cunicoli sono aggrovigliati/reconditi/bui e si contrappongono nettamente alla luce dell’aurora (shahar appunto in ebraico). Il cunicolo potrebbe essere una metafora dell’animo umano o dell’Umanità intera che si apre ai più reconditi e intricati pensieri, si perde fino a ritrovare la luce. E il flauto basso è perfetto per dare corpo a questa situazione. Già dall’inizio l’ascoltatore si immerge nei cunicoli bui e privi di luce grazie ai microtoni del flauto; non sono questi suoni ben definiti e proprio questo confonde l’ascoltatore e lo smarrisce nel labirinto sonoro. In mezzo a queste dinamiche molto rarefatte e in pianissimo è naturale che questi chieda uno spago/un gomitolo di spago/in ricordo di Teseo l’uomo del Labirinto (versi di Nadar). Il buio e il non vedere crea disagio nell’animo umano e forse lo spinge ancora di più a scavare all’interno dei suoi sentimenti e delle sue passioni. Anche i suoni neutri, proprio per la loro natura di altezze non definite, confermano ancora di più questa sensazione di instabilità e di perdita dell’orientamento. A tutto ciò il compositore contrappone il rumore forte della quotidianità che brulica in superficie con foto-suoni catturati al mercato popolare di Porta Palazzo a Torino e a quello del Chorsu Bazar di Tashkent in Uzbekistan. Luoghi geograficamente distanti ma dei quali l’ascoltatore può cogliere un comune dinamismo. Ma alla fine, grazie al soprano che per mezzo della sua voce registrata già prima si fa portatore della luce, esecutore ed ascoltatore riescono a raggiungere l’agognata Shahar.

Con Shahar il Piacentini compone delle pagine, a mio dire, perfette. L’esecutore attraverso il suo flauto basso, compie una doppia operazione: penetra attraverso tutte le possibilità esecutive dello strumento, dalle scale di microtoni si raggiungono ampi gesti virtuosistici fino a ritornare all’indefinito (non definito= perdita del filo?) attraverso i suoni neutri. E dovendosi destreggiare praticamente deve compiere un lavoro di analisi che mira all’autoanalisi molto più profonda che, solo se compiuta a dovere, potrà penetrare l’animo dell’ascoltatore costringendo anch’esso ad una introspezione approfondita.

Shahar è un’opera completa a tutto tondo perché è il frutto migliore di quello che è stato lo stretto connubio tra il compositore e Annamaria Morini dato che le diteggiature cui si fa riferimento nel brano e che devono essere utilizzate sono quelle estrapolate dal lavoro certosino della flautista bolognese.

Ma come è stato detto in precedenza la produzione di Riccardo Piacentini è veramente immensa e se si scorrono solo i titoli, tutti allo stesso modo risultano interessanti. Penso a XXIV per flauto, violino e foto-suoni del 2004 e scritto in occasione del XV anniversario del duo Porta- Morini in cui gli strumenti dei due straordinari musicisti si fondono fino a creare una completa armonia e pluridimensionalità insieme alle registrazioni fatte precedentemente.  

Ma stimolanti sono anche le pagine di Jazz Motetus VIII del 2009 per flauto, o clavicembalo, o flauto e clavicembalo dove già il titolo ci offre molteplici modalità esecutive e all’interno del pezzo Ars Antiqua e stilemi jazz si possono con-fondere senza nessun obbligo filologico.

Ma non è finita qui: scorrendo anche superficialmente le sue opere, un flautista può dunque trovare stimoli interessanti e degni di essere approfonditi.

E sono estremamente convinta che Riccardo Piacentini debba essere analizzato e studiato da chiunque voglia avvicinarsi allo studio della musica contemporanea. Le sue partiture infatti sono ricche non solo di tutte le tecniche esecutive contemporanee ma soprattutto aiutano l’esecutore a ritrovare la vera natura dello strumento che risiede nella sua espressività e cantabilità, qualità queste messe, per troppo tempo, in secondo piano.


Francesca Cescon 

francesca.cescon@williamplaicrgilio.it

ha studiato flauto traverso con il maestro Enzo Caroli conseguendo il diploma presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia con ottimi voti nel 1999. Nel corso dei suoi studi si perfeziona con i maestri Ancilloti, Larrieu, Klemm e Zaralli conseguendo il diploma presso l’Accademia flautistica di Imola sotto la guida di Glauco Cambursano.
Avvicinatasi alla musica contemporanea partecipa in qualità di allieva effettiva alle master class di Roberto Fabbriciani e Annamaria Morini. Ha completato col massimo dei voti, presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia, il Biennio di II° livello (ad indirizzo solistico) sotto la guida di Federica Lotti e il Biennio di II° livello ad Indirizzo Cameristico. Consegue presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano il Diploma per il Master of Advanced Studies in Contemporary Music sotto la guida di Mario Caroli. E’ laureata in Lettere (Ordinamento Quadriennale) con la tesi “Das Atmende Klarsein di Luigi Nono. Indagine analitica e filologica sulla prima esperienza di Luigi Nono con il Live Eletronics” conseguendo anche la Laurea Specialistica in Musicologia e Beni Musicali con un lavoro intitolato: “Nono e Dalla Piccola, rispecchiamenti”.

Segue regolare attività concertistica ed è molto attiva nell’ambito della musica contemporanea collaborando con diversi compositori. E’ stata membro stabile dell’Ensemble L’Arsenale diretta da Filippo Perocco. Ha partecipato con questo gruppo alla Biennale Musica di Venezia nel 2009 e 2010. In quest’ ultima edizione ha eseguito Diario Polacco n.2 di Luigi Nono e ha collaborato con i Neue Vocalsolisten Stuttgart per Aventures di Gyorgy Ligeti, esecuzione questa trasmessa dai Rai3 per la Radio Televisione Italiana. Ha partecipato in qualità di relatirice ai Convegni organizzati rispettivamente dalla SidM e dal Saggiatore Musicale e la sua tesi di laurea su Luigi Nono rientra in un progetto editoriale per la Casa Editrice Ars Publica