Il flauto in forma

by Massimiliano Brescini

Analisi di alcuni aspetti tecnici per conoscere ed ottenere il meglio dal nostro strumento

Ogni flautista all’avvicinarsi di un importante evento, concerto, concorso o lezione che sia è preoccupato e concentrato sull’ottenere la migliore performance attraverso la perfezione tecnica, l’espressione del miglior suono possibile, della miglior intonazione e così via e perché questo avvenga è indispensabile disporre di uno strumento assolutamente «in forma». 

Con estrema facilità oggi possiamo reperire eccellenti flauti, ben fatti, ben costruiti, nonostante tutto, dopo un certo periodo di utilizzo a maggior ragione se intensivo, lentamente e inesorabilmente le varie parti che compongono la meccanica inizieranno a subire un degrado sempre maggiore. Ci accorgiamo dopo un po’ di tempo che il flauto inspiegabilmente non è più lo stesso, non vi troviamo più la stessa perfezione, facilità e soddisfazione iniziale.

Oltre alla necessaria sostituzione dei cuscinetti qualora ne vedessimo il palese degrado con la rottura dell’involucro esterno e la probabile conseguente fuoriuscita di materiale interno, come tra l’altro ben descritto dall’articolo di settembre della bravissima Rachael Simon, ci sono altri fattori alla quale se non si fornisce la doverosa attenzione possono alterare in maniera decisamente negativa le seppur eccellenti prestazioni iniziali dello strumento.

Iniziamo la nostra analisi partendo dall’elemento più visibile e semplice da individuare, in modo particolare poi se si tratta di argento, la lucentezza ed il riflesso del tubo sia esterna, ma soprattutto interno. Mentre per quanto riguarda l’esterno si tratta alla fine più che altro di uno spiacevole inestetismo, la parte interna assume un ruolo importantissimo nello sviluppo del suono e del timbro. Ad un colore visibilmente offuscato o addirittura scuro risulterà un altrettanto suono scuro. Il lento ma progressivo depositarsi di micro particelle provenienti dal nostro alito porterà ad una lenta perdita di brillantezza e prontezza. Questa importante ispezione la possiamo effettuare attraverso il foro nella boccola della testata dove il degrado può arrivare alla sua massima forma. A lato possiamo vedere le foto che ritraggono la parte interna del flauto prima e dopo l’intervento di pulizia. 

Altro fattore importantissimo è Il foro di insufflazione della boccola di cui abbiamo appena parlato. Esso è l’equivalente dell’ancia per esempio dei nostri cari amici oboisti. Suonando in orchestra fianco a fianco abbiamo visto quanta premura hanno verso le loro numerose ance, mentre noi non diamo normalmente nessuna attenzione al foro ed alle sue pareti interne del foro della nostra probabile unica testata. 

Niente di più sbagliato! Le pareti interne vanno tenute costantemente pulite usando una soluzione alcolica che distribuita con attenzione lungo le pareti le mantengono sempre lucide a specchio. Ovviamente, superfluo sottolineare, è di massima importanza non graffiare le pareti interne come gli spigoli del foro in modo particolare quello anteriore dove si infrange l’aria.

Termino l’analisi sulla testata ricordando che è fondamentale la sostituzione periodica del sughero, esso con il tempo perderà la sua naturale elasticità per cui oltre al rischio che si possa muovere con effetti disastrosi sull’intonazione il suo irrigidimento porterà ad impedire alla testata la sua naturale vibrazione con l’ovvia conseguenza di una perdita di risonanza e proiezione. Entrando nei dettagli tecnici il sughero deve trovarsi a 17,3 mm dal centro del foro di insufflazione, le tacche nei bastoncini per la pulizia interna ci possono aitare in questo senso. Pena sarebbe andare a peggiorare il Mi2, già di suo problematico in quanto mancante del Si acuto fra i suoi armonici. Le foto a seguire ritraggono il tappo appena estratto dalla testata e successivamente dopo l’intervento di sostituzione del sughero e dell’opportuna revisione del tutto.

Passiamo ora al corpo ed al piede analizzando altre due caratteristiche meccaniche che possono influire sul rendimento dello strumento e di conseguenza sulla nostra performance: le molle ed il «Key rise». Le molle negli strumenti professionali sono fabbricate generalmente in oro bianco 10kt (talvolta in 14kt che preferisco), materiale non soggetto ad ossidazione e ruggine oltre ad offrire il necessario ed indispensabile effetto «molla». Esse progressivamente tendono a perdere la resistenza necessaria all’abbassamento od al sollevamento dei tasti alterando la risposta della meccanica. Mi viene un esempio, la scala inziale da La2 a La3 nel celebre solo del «Daphnis and Chloè» di Ravel. Già di per sé il passaggio tecnico Re-Mi#-Fa#-Sol# non è dei più agevoli dovendolo eseguire veloce e con perfetta fluidità, se poi la meccanica non risponderà in maniera uniforme tra i vari tasti l’esecutore troverà seri problemi nel raggiungere una perfetta esecuzione. Questo varrà per ogni passaggio tecnico nella quale si ha la necessità di uniformità e perfetta rispondenza alle dita dell’esecutore. Nel flauto abbiamo tasti singoli o che ne chiudono un altro o altri due, per cui ogni molla va tarata in base a questi fattori, quando conosco l’esecutore cerco di offrire una taratura personalizzata. Un altro brano dove amo testare le meccaniche dei flauti è la «Sonatina» di H. Dutilleux, è un ottimo banco di prova nella quale avverto eventuali difetti. Sconsiglio vivamente interventi improvvisati con attrezzi non idonei in quanto le molle potrebbero piegarsi in maniera irrimediabile o addirittura spezzarsi. Per intervenire su di esse è necessario smontare le parti meccaniche ed intervenire con estrema cautela.

Altro elemento fondamentale, ma del tutto sconosciuto ahimè anche a tecnici riparatori è il «key rise» ossia lo spazio tra l’orlo superiore del caminetto ed il cuscinetto. Ogni casa costruttrice stabilisce in fase di progettazione il suo valore alla quale ci si dovrebbe attenere nei successivi interventi di riparazione. E’ un fattore che influisce in maniera considerevole sul suono del flauto oltre che essere fondamentale nella terza ottava in quanto note come il Mi3 ed il Fa#3 potrebbero avere un netto peggioramento con un valore più ampio, quindi con una maggiore fuoriuscita di aria a fronte di vantaggi nella prima ottava. La mia pratica mi insegna di impostare il key rise della tastiera tra i 2,75 mm e 3mm per il corpo arrivando ad un massimo di 3,5 mm per il piede per i flauti con tastiera aperta mentre qualche decimale di mm in più lo prevedo per i flauti con tastiera chiusa oramai però quasi scomparsi nelle linee professionali attuali. Benché valori superiori a quelli che riporto potrebbero fornire alcuni vantaggi, si avrebbe per contro come già sottolineavo un peggioramento nella terza ottava causato da un eccessivo «venting». 

Questi valori vanno rideterminati continuamente ogni qualvolta il flauto abbia necessità della sostituzione dei tamponi o di un periodico controllo. Il problema si cela dietro i spessori, oggi generalmente in feltro pressato, che nonostante la loro qualità costruttiva con il passare del tempo tendono a usurarsi perdendo lo spessore iniziale per cui la tastiera tenderà ad aprirsi aumentando il key rise e provocando gradualmente la perdita del focus del suono, il flauto diventerà progressivamente afono, le dita dovranno lavorare maggiormente per cui si avrà anche un peggioramento nell’esecuzione tecnica. Il loro progressivo indurimento provocherà inoltre un aumento non di poco conto del rumore della meccanica in generale. Una maggior apertura renderà alcuni passaggi più complicati da rendere simultanei e precisi. Ovviamente si parla di pochi decimi di millimetro un valore apparentemente infinitesimale ma se moltiplicato per tutta la tastiera sarà più che sufficiente per un significativo peggioramento delle caratteristiche iniziali. Non potendo conoscere tutti i valori ufficiali delle case costruttrici che potrebbero variare anche tra modello e modello, solo lunghe e ripetute sedute di prova del flauto potranno fornire l’esatto valore di esso. Considerando anche l’enorme quantità di suono sviluppata dalle testate odierne sarà necessario trovare il giusto compromesso tra un suono non trattenuto ed uno che si sviluppi con la giusta proiezione facendo vibrare nella giusta maniera il flauto.

Da tutto questo traggo le seguenti considerazioni:

  • il flauto è uno strumento complesso composto da numerosi elementi che se non perfettamente a posto possono determinare la sua resa e quindi il suo non essere «in forma».
  • perché il flauto proprio per quanto detto sopra sia sempre «in forma» mi permetto di suggerire di appoggiarsi a tecnici che siano in grado di testare direttamente il Vostro strumento a fondo restituendovi il flauto nel suo stato di forma perfetto, il mezzo con la quale riuscirete ad esprimervi al meglio nelle vostre importanti occasioni.

Massimiliano Brescini

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Massimiliano Brescini inizia gli studi musicali fin da bambino per poi accedere al Conservatorio Statale di Musica «G.Rossini» di Pesaro dove vi consegue il Diploma in flauto. Si è poi perfezionato con Giancarlo Graverini (già I° flauto dell’Orchestra Sinfonica della Rai di Roma) e Francesco Chirivì (già I° flauto dell’Opera di Roma) oltre a frequentare Masterclass con artisti di fama internazionale quali Maxence Larrieu e Sir James Galway.Premiato in numerosi concorsi ha svolto attività solistica, da camera che sinfonica collaborando con l’Orchestra Filarmonica Marchigiana e l’Orchestra Sinfonica della Rai di Roma. Da diversi anni ha scelto di indirizzare la sua esperienza e conoscenze acquisite nel campo del restauro e della revisione tecnica dei flauti ed ottavini. E’ stato invitato a partecipare come tecnico ai corsi internazionali di Davide Formisano e Juergen Franz al Conservatorio «J.Brahms» di Amburgo (Germania) ed ai corsi estivi Flute in Tuscany tenuti da Elizabeth Walker. Collabora stabilmente con vari Atelier quali MusicIn (Repubblica di San Marino) e Flutissimo (Germania).