Bruno Maderna o Del Ritorno alla Melodia

by Francesca Cescon

A Venezia si è appena concluso il Festival “Luigi Nono” organizzato dall’omonimo archivio in collaborazione con altre importanti istituzioni culturali veneziani quali il Conservatorio di Musica “B. Marcello” e la Fondazione Ugo e Olga Levi. Questa edizione, dal titolo “Luigi Nono e i suoi Maestri”, in realtà avrebbe dovuto svolgersi nell’autunno del 2020 in occasione del centenario della nascita di Bruno Maderna che, insieme all’altro grande pilastro della storia della musica italiana Gian Francesco Malipiero è stato, oltre che un insostituibile amico, anche una guida fondamentale per il giovane Nono. È per merito suo che questo riscopre e studia la Scuola Veneziana dei Gabrieli e Monteverdi senza dimenticare però le opere dei maestri Fiamminghi (molto amati da Maderna). Ed è ancora grazie a lui che il compositore ‘giudecchino’ riesce ad orientarsi nell’intricato panorama musicale dell’Europa del Secondo Dopoguerra.

Durante le giornate del Festival il pubblico ha potuto quindi conoscere più approfonditamente non solo il Bruno Maderna compositore (troppo spesso – ahimé! – relegato ai margini dei programmi di sala delle stagioni concertistiche) ma anche il Maderna uomo apprezzandone la modestia, la dedizione e la generosità verso amici e colleghi. 

Ma perché scrivere di lui in questa rivista? Perché Bruno Maderna è un autore di primaria importanza per la letteratura flautistica del Secondo Novecento. 

Ma a questa affermazione sorge spontaneo un altro quesito: come mai Bruno Maderna si è dedicato a questo strumento? La risposta è molto semplice: il compositore veneziano amava molto il flauto e ha potuto dimostrare quanto questo strumento fosse versatile grazie all’incontro con Severino Gazzelloni. 

È bene qui fare un’ulteriore precisazione: a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, il binomio interprete-compositore comincia a rivestire un ruolo molto importante, Maderna stesso considera lo strumentista come un mediatore fondamentale tra il compositore e la sua musica. Oltre allo stesso Gazzelloni, strumentisti come l’oboista Lothar Faber, la cantante Kathy Berberian e il pianista David Tudor hanno ispirato molte delle composizioni che hanno arricchito il repertorio novecentesco dei diversi strumenti. 

Importante fucina di queste creazioni sono stati senza dubbio i ‘mitici’ Ferienkurse di Darmstadt durante i quali Gazzelloni e molti altri interpreti non si limitavano solamente all’insegnamento ma prendevano parte in maniera attiva alla creazione delle numerose opere che qui prendevano vita.

Il flautista italiano però non era affatto uno ‘specialista’ della musica contemporanea, ma la sua particolare concezione di suono lo rende interessante alle orecchie di questi nuovi creatori tale da renderlo, dal 1952 al 1966, una presenza fissa di questi corsi estivi. 

A Darmstadt infatti Severi’ (rubo la dedica in calce alla Sequenza I di Luciano Berio) eseguì in prima esecuzione assoluta opere di (in ordine assolutamente casuale) Nono, Togni, Schoenberg, Boulez, Bussotti, Clementi, Castiglioni, Petrassi, Fukushima e Pousseur solo per citarne alcuni. E tutti questi brani rientreranno a far parte della cosiddetta GazzelloniMusik.

Il flautista romano si destreggia ormai molto bene tra le nuove tecniche esecutive (colpi di chiave, pizzicati, frullati…)  e i pezzi di repertorio focalizzando però sempre l’attenzione al suono, alle sue variabili timbriche e al fraseggio.

Gazzelloni grazie alla sua personalità istrionica e al carattere deciso, punta ad arrivare ad una concezione molto personale di suono. Egli infatti si distacca dalla cosiddetta Scuola Francese per creare, come lui stesso dice “un bel suono robusto, un vibrato da adattare ai vari stili della musica”

Ed è proprio sull’attenzione al suono e alla ricerca della cantabilità che si può fissare il punto di incontro tra il musicista veneziano e il virtuoso dal flauto d’oro. 

Il primo infatti lamenta come il comporre risultasse allora troppo soggiogato ad una serialità estrema e di come la melodia e l’attenzione al timbro fossero passate in secondo piano per dare spazio ad uno strutturalismo troppo estremo. 

Maderna invoca una melodia che porti ad un lirismo interiore e che sondi nei recessi più profondi dell’anima un canto quasi primordiale. Il compositore deve ricercare la melodia più profonda e l’esecutore deve penetrare in essa. Credo che questa ricerca della melodia e di un ritorno alle origini, fosse dovuto al suo incessante studio delle composizioni passate, scevre di troppe regole pre-costruite. 

Grazie a questo sodalizio artistico e soprattutto umano, Maderna ha dedicato al flauto delle pagine memorabili attraverso le quali possiamo comprendere il suo percorso di compositore. 

Nel 1952 e successivamente nel 1958 affianca al flauto, strumento tradizionale, il mezzo elettronico (nella fattispecie il nastro magnetico) il quale sarà presente molto spesso nelle partiture del Veneziano. Si tratta di una vera propria novità dovuta alle sue sperimentazioni (insieme a Berio) presso lo Studio di Fonologia della Rai di Milano. Qui, insieme all’amico compositore e all’insostituibile Marino Zuccheri, sperimenta ed esplora il mezzo elettronico, facendo sempre attenzione a non esserne mai soggiogato ma anzi, cercando di trovare un dialogo compositivo con la tradizione. 

Ecco quindi che compaiono la prima versione di Musica su Due Dimensioni (1952) dove, oltre al flauto e al nastro magnetico era previsto anche un piatto sospeso fino ad arrivare alla stesura definitiva del 1958 ed eseguita a Darmstadt. Il dialogo tra le due dimensioni è dunque la parola d’ordine di questa composizione. Il flautista dialoga non solo con il mezzo elettronico ma con sé stesso pre – registrato. In questo modo citando lo stesso Bruno Maderna “il solista è così obbligato a reagire contro la sua stessa interpretazione, a prendere posizione contro sé stesso”

Per riuscire al meglio in questo intreccio, Maderna è molto preciso nelle indicazioni, in particolare quelle metronomiche. Nella seconda sezione di Dimensioni 1958, nella parte in cui il flauto inizia ad interagire con il nastro, Maderna scrive un rigoroso 60 alla croma affinché il flauto riesca a dialogare con il nastro. Nella terza parte ad uno sguardo superficiale della partitura, sembrerebbe che le parti del flauto siano delle brevi interpolazioni a sé stanti. Ma non è affatto così: i brevi interventi del flauto, ad un ascolto attento del brano, completano la parte elettronica, coinvolgendo appieno l’ascoltatore in queste dimensioni secondo me sono in apparenza lontane. Prima si parlava di attenzione al timbro: le indicazioni timbriche sono molto dettagliate e sempre finalizzate ad una buona riuscita nel dialogo tra le due dimensioni. 

Mi si permetta una piccola digressione: inizialmente ho parlato di come Maderna sia stato un maestro per Luigi Nono. Proprio questi infatti, nell’opera Das Atmende Klarsein del 1981, farà dialogare il flauto basso di Roberto Fabbriciani con il nastro dove, come in Musica su Due Dimensioni, compare lo stesso solista pre-registrato. 

Per Maderna dunque il dialogo tra le varie parti è fondamentale e anche in Honeyreves del 1961 flauto e pianoforte si intrecciano fino a formare una musica a più dimensioni, non assolutamente lineare. In questo pezzo dedicato a Severino (il nome di Gazzelloni è presente nel titolo da leggersi al contrario) l’attenzione di Maderna nei confronti del canto non si smorza. Al flauto, ad inizio e chiusura del brano sono affidate due melodie brevi ma molto intense e gli effetti sonori contemporanei sono pochi.  Ma particolare è anche l’attenzione verso il timbro: piano e flauto intrecciano parti puntillistiche e ritmiche connotate da diverse indicazioni ‘coloristiche’. I cambi di timbro sono repentini, anche più di uno all’interno di questa battuta e l’esecutore deve essere molto attento nel differenziarli senza però mettere in secondo piano la melodia che rimane sempre prioritaria nella composizione. 

 La cantabilità non deve passare in secondo piano a vantaggio della mera tecnica. Ed è forse per questo che lui amava il flauto, in quanto il suo afflatus ricorda molto la voce umana, dato che il modo di emissione in questo strumento è simile a quello utilizzato nel canto. 

E nel 1972 che Maderna compone per Gazzelloni e Lothar Faber l’ultimo pezzo dedicato al flauto, un anno prima della sua prematura scomparsa. Parlo di Dialodia per due flauti o due oboi o altri strumenti. Forse questa composizione seppur breve riassume tutta la poetica di questo immenso musicista. In primis la dicitura ‘o altri strumenti’ richiama quella che era una pratica della musica antica (da lui molto amata) secondo la quale la partitura poteva essere eseguita anche da diversi strumenti. 

Ma il termine Dialodia richiama un canto antico, quasi sacro, non indirizzato ad una divinità nello specifico. Gli esecutori devono cercare, attraverso il canto di questa melodia, di raggiungere forse il fine ultimo della musica e ritornare ad una concezione primitiva di suono, puro e privo di qualsiasi orpello.


Francesca Cescon 

francesca.cescon@virgilio.it

ha studiato flauto traverso con il maestro Enzo Caroli conseguendo il diploma presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia con ottimi voti nel 1999. Nel corso dei suoi studi si perfeziona con i maestri Ancilloti, Larrieu, Klemm e Zaralli conseguendo il diploma presso l’Accademia flautistica di Imola sotto la guida di Glauco Cambursano.
Avvicinatasi alla musica contemporanea partecipa in qualità di allieva effettiva alle master class di Roberto Fabbriciani e Annamaria Morini. Ha completato col massimo dei voti, presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia, il Biennio di II° livello (ad indirizzo solistico) sotto la guida di Federica Lotti e il Biennio di II° livello ad Indirizzo Cameristico. Consegue presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano il Diploma per il Master of Advanced Studies in Contemporary Music sotto la guida di Mario Caroli. E’ laureata in Lettere (Ordinamento Quadriennale) con la tesi “Das Atmende Klarsein di Luigi Nono. Indagine analitica e filologica sulla prima esperienza di Luigi Nono con il Live Eletronics” conseguendo anche la Laurea Specialistica in Musicologia e Beni Musicali con un lavoro intitolato: “Nono e Dalla Piccola, rispecchiamenti”.

Segue regolare attività concertistica ed è molto attiva nell’ambito della musica contemporanea collaborando con diversi compositori. E’ stata membro stabile dell’Ensemble L’Arsenale diretta da Filippo Perocco. Ha partecipato con questo gruppo alla Biennale Musica di Venezia nel 2009 e 2010. In quest’ ultima edizione ha eseguito Diario Polacco n.2 di Luigi Nono e ha collaborato con i Neue Vocalsolisten Stuttgart per Aventures di Gyorgy Ligeti, esecuzione questa trasmessa dai Rai3 per la Radio Televisione Italiana. Ha partecipato in qualità di relatirice ai Convegni organizzati rispettivamente dalla SidM e dal Saggiatore Musicale e la sua tesi di laurea su Luigi Nono rientra in un progetto editoriale per la Casa Editrice Ars Publica