C. Debussy, Syrinx

Una “chiacchierata” introduttiva

by Onorio Zaralli

Un capolavoro autentico della letteratura flautistica è Syrinx, per flauto solo, di Claude Debussy.
Le interpretazioni di questo brano risultano a tal punto differenti che alle volte è difficile convincersi che si tratti veramente… del medesimo testo.
Innanzitutto, cerchiamo di scoprire la vera identità di questo brano.

D’accordo con la libertà interpretativa, ma con l’arbitrio, no! Certo, nessuno potrà mai conoscere l’esatto pensiero musicale di Debussy, ma noi abbiamo un dovere preciso: rivelare il testo di Debussy nel rispetto della partitura, evitando un gravissimo equivoco di fondo. L’equivoco secondo cui la musica di Debussy sia evanescenze di forme, cromatismi, tessuti armonici sospesi, ecc. 

Da una parte, questo è vero: la produzione pittorica di questo periodo presenta uno stile nuovo e la novità è data proprio dalla prevalenza dell’“impressione” soggettiva sul “dato” oggettivo. Questo si riflette anche sulla musica, dove la qualità timbrica assume un ruolo di primissimo piano, divenendo essa stessa “struttura”.

Ma è proprio per questo che dobbiamo essere ancora più attenti alla scrittura musicale dell’Autore. Proverò a spiegarmi meglio…

La partitura barocca – come sappiamo – permette, anzi, costringe l’interprete alla sua stesura definitiva, all’edizione compiuta “in concerto”. Per questo è molto povera di indicazioni dinamiche, di segni di espressione; la sua essenzialità consente una maggiore libertà interpretativa, la possibilità di letture diverse e tutte artisticamente valide (quando siano espresse con intelligenza e gusto, s’intende). L’esigenza timbrica è pressoché inesistente (si scrivono Sonate per flauto, o oboe, o violino e B.C.), i piani sonori sommariamente indicati. Il rapporto compositore-esecutore è – potremmo dire – paritetico, nel senso che, al pari del primo, anche quest’ultimo svolge una funzione realmente “creativa” del testo musicale.

Tutt’altro avviene quando siamo di fronte alla partitura musicale di Claude Debussy: qui le indicazioni non mancano di certo, sono anzi meticolosissime e numerose. E’ ovvio che ciò non può essere il segno della maniacalità di un grafomane, bensì rappresentano una diversa esigenza stilistica, una differente concezione estetica della musica. Pure il rapporto compositore-interprete sarà perciò diverso.

Dico questo da quando, dopo letture alquanto generiche di Syrinx, fermai la mia attenzione su un particolare: nella nona misura l’Autore scrive “Un peu mouvementé (mais très peu)”. Ora, Debussy avrebbe potuto scrivere più semplicemente “più mosso” ottendendo, sicuramente, lo stesso effetto. Ma perché voler aggiungere, tra parentesi, “ma molto poco”, perché sentire l’esigenza di dover definire con quanta più esattezza possibile questa – se vogliamo – quasi impercettibile alterazione della velocità? 

Mettere una aggiunta meticolosa, a prima vista quasi superflua, per poi consentire altrove arbitri interpretativi, al di fuori di ciò che è indicato puntualmente sulla partitura? 

Perché alterare i valori delle note, inventare accelerandi e ritardandi, crescendi ingiustificati laddove non sono indicati, quando l’Autore indica precisamente ciò che vuole dall’interprete, non omettendo di segnare addirittura i respiri?

Provai quindi a rileggere il testo depurandolo da tutte quelle consuetudini esecutive ormai acquisite e cercando di riprodurre fedelmente la musica così come era stata scritta. 

Inizialmente ne fui alquanto disorientato, ma ben presto mi resi conto che era tutt’altra cosa. 

Ne dedussi – e ne sono ancora convinto – che la libertà, la sospensione, il gusto timbrico, la vaghezza melodica, la suggestione di questa musica sono l’essenza di uno stile cui fanno però riscontro la necessità di una lettura attenta, la precisione della scelta timbrica, la chiara definizione dell’immagine sonora da parte dell’interprete. E’ una musica esteticamente inconfondibile che, proprio per non confondersi, impone uno stile esecutivo vigile ed attento.

L’obiezione che mi aspetto è questa: e allora, dove va a finire la “libertà” dell’interprete? Non sarà forse questa solo pedanteria? 

Premesso che libertà è cosa ben diversa dall’arbitrio, saranno la qualità del suono, il colore timbrico, i piani sonori ad attribuire individualità e valore alle diverse interpretazioni, non certamente i diminuendi o i crescendi totalmente inventati.

E allora vediamo di leggere meglio la partitura, che consiglio di seguire con attenzione.

batt. 1: mf, appoggio sul Si bem. e sul La bem.; scorrono le note della quartina, ben legate e senza appoggi o enfasi declamatoria, su un unico livello sonoro.

batt. 2: il diminuendo è segnato sotto le due biscrome. Ciò vuol dire che il Si bem. mimima va eseguito – da subito – con una intensità minore rispetto al primo Si bem. e non, come spesso si sente, con la stessa intensità per poi diminuire.

batt. 3: come la prima, ripetizione testuale.

batt. 4: appoggio sul Si bem. iniziale, poi crescendo per approdare – improvvisamente – al Si naturale, in piano senza preparazione. Terzine ben legate, in crescendo, senza stringere il tempo.

batt. 5: dal p al f senza diminuire sul Si naturale. Terzine che si aprono verso l’acuto, perfettamente in tempo.

batt. 6 – 8: rispettare esattamente la pausa di croma puntata. Tenere quindi il Do bem. per l’intera durata delle note, senza affrettare e maturando un ottimo crescendo. Diminuire già sul Re bem. per attaccare quindi il successivo Mi bem. in piano subito e diminuire ulteriormente verso e dopo il Si.

batt. 9: “un peu mouvementé (mais très peu)”. La melodia è qui trasportata all’ottava inferiore, cambiano il registro timbrico e il livello sonoro, ora in piano, ma restano inalterati gli appoggi sui primi due movimenti della misura. Non affrettare la quartina discendente.

batt. 10 – 12: ripetizione della precedente misura ma con la quartina che sale e cresce per approdare ad una maggior livello sonoro sulla quartina con l’acciaccatura, livello che si mantiene costante anche sul Si bem. semiminima; respiro e forte diminuendo verso la battuta successiva. Le biscrome iniziano piano, non vanno affrettate, innalzano nuovamente il volume sonoro verso il Si bem.; respiro e terzina. 

batt. 13: notare che i primi due movimenti sono in mf; il diminuendo interviene solo nel terzo movimento della misura, creando un effetto meraviglioso, come un cono d’ombra che oscura improvvisamente una superficie luminosa: solitamente questo passaggio si getta via di fretta… un vero peccato!

batt. 14: si mantiene il p di arrivo; respiro e crescendo senza però affrettare (chissà perché si associa spesso il crescendo allo stringendo o, parallelamente, il diminuendo al rallentando: sono grandezze diverse e non necessariamente associate, riguardando l’una il piano sonoro e l’altra l’agogica): non lo insegnano nei Corsi Superiori di Altissimo Perfezionamento disseminati ormai ovunque?

batt. 15: terzine senza sforzato sull’acciaccatura ma con diminuendi che si ripetono. Cédez sull’ultima terzina e, senza respirare…

batt. 16: attaccare in piano, con rubato che compensa il Cédez precedente; crescere sulle corme legate per attaccare, dopo il respiro, in forte la batt. 17, su cui è segnato un diminuendo senza rallentare.

batt. 18: sembrerebbe pressoché uguale alla 16, ma vi sono importanti differenze: è separata dalla precedente dal respiro segnato all’inizio, questa volta non vi è rubato, è unita alla

batt. 19: senza respiro di separazione, si approda ad un piano.

Sul crescendo del Mi bem., inizia un ponte di collegamento, ove il disegno si intensifica di per sé, senza bisogno di alterazioni arbitrarie della velocità, neanche sui trilli che portano al punto coronato.

batt. 25 – 26: ripresa dell’incipit, questa volta più lungo all’inizio per la precedente semiminima legata. Ma c’è un’altra differenza: il “tema” è questa volta in crescendo e non più dinamicamente uniforme. La quartina finale si interrompe improvvisamente, senza dim. o rall., a causa del respiro segnato dall’Autore prima delle

batt. 27 -28: livello sonoro di f, con diminuendo sulla battuta successiva senza ritenuto; rimane anch’essa sospesa.

batt. 29 – 30: identiche e tra loro separate. In molte esecuzioni si sentono caparbiamente variate: qui invece la “sorpresa” sta proprio nella ripetizione testuale. L’ultima nota si lega alla

batt. 31: d’ora in poi tutto il disegno rallenta “jusq’ à la fin”. Dopo il respiro, tenere i Re bem. per l’esatta durata delle note.

batt. 32 – 33: diminuire sulla terzina: il Re bem. di arrivo deve cioè risultare di diverso piano sonoro rispetto a quello di inizio. Si naturale piano, appoggiato, poi “marqué” sul battere della

batt. 34: “très retenu”, rallentare costantemente, eseguire la quintina “perdendosi”, cioè quasi al di fuori del tempo, per arrivare al battere di

batt. 35: senza fermarsi sul precedente Mi bem. Eseguire l’acciaccatura “solo col dito”, cioè senza alcuna enfasi, senza impulso e tenere la corona sul Re bem. aspettando che la nota si spenga naturalmente.

Esecuzione del 2004

Esecuzione del 2020 (ancora più fedele al testo)


O.Zaralli

www.onoriozaralli.webnode.it | Scuola Flautistica Italiana | Youtube

O. Zaralli si diploma con il massimo dei voti in flauto presso il Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma, conseguendo successivamente il diploma “solista” al Royal College of Music di Londra. Premiato nei concorsi di Ancona, Stresa, Palmi e Città di Castello, matura esperienze orchestrali in seno all’Orchestra della Radiotelevisione di Bucarest, Orchestra Sinfonica di Sanremo, Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia di Roma. Come solista, è attivo in Europa, USA, Messico, Korea, Australia. E’ autore di libri, studi e composizioni per flauto.